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Rassegna Stampa

Processo Solvay: tutti i protagonisti e le udienze


CORTE DI ASSISE

 
UDIENZA 13 MAGGIO 2013
 
Cosa non si fa per soldi. L’omertà delle testimoni al processo Solvay. “Io le arresterei” ha mormorato il pubblico nell’aula del Tribunale di Alessandria. Ma la Presidente della Corte di Assise, con abbondante equilibrio, non ha dato questa soddisfazione. Così sono state portate a termine, nell’udienza del 13 maggio, le testimonianze di Caterina Di Carlo e Valeria Giunta, che pur avevano giurato di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Caterina Di Carlo, con tutti i suoi “Non so”, “Non ricordo”, è stato battezzata “la smemorata di Spinetta”, surclassando il famoso “smemorato di Collegno”. Facendo suo il proverbio, la colta “ingegnere ambientale” di collegamento fra l’imputato Canti e il quartier generale di Bruxelles ha preferito passare da ignorante piuttosto che da brigante, a giustificare così l’elevato livello retributivo. A scuola, a forza di insistere a insegnarle ingegneria ambientale, le avevano fatto odiare l’ambiente. Valeria Giunta, la “gola profonda” delle intercettazioni telefoniche, in aula è diventata afona. Al telefono, nel 2008, gridava che “sono veramente bastardi”, “io non voglio finire in galera”, “vi metto nella merda più totale”. In aula non ha rivelato quali segreti minacciava i suoi capi di voler svelare, e in cambio di che cosa. Ma bastano e avanzano le intercettazioni riprese dal pubblico ministero Riccardo Ghio, per qualificare la responsabile del laboratorio aziendale stretta collaboratrice degli imputati. Quando l’imputato Canti la induceva a “non scrivere quel risultato compromettente” o le ordinava analisi (pozzo 8, spacciato per potabile) in doppia versione, una per l’interno e l’altra falsa per gli Enti esterni. Quando scriveva sul diario (sequestrato dai carabinieri) che il cromo era stato nascosto sotto bitume e cemento. Quando compativa gli operai che erano costretti ad effettuare le analisi senza strumenti protettivi: “Io se fossi l’operatore, li denuncerei”. Quando discuteva come “distruggere i tabulati analitici” o consegnava i dati sensibili tramite chiavetta pen drive piuttosto che via e-mail “perché non restasse traccia”, quei dati che definiva “fuori dal mondo” mentre all’esterno “è sempre stato detto che tutto va bene”, i dati magari di un anno prima spacciati per l’anno dopo (1968). Quando gli avvocati difensori la invitavano a distruggere la relazione in mail dopo l’interrogatorio del Pubblico Ministero. Anche da questa udienza, la Giunta sarà uscita convinta di esclamare di nuovo: “Ho praticamente salvato la società Solvay”. Mi sa che la Corte sia invece del nostro avviso. Interessanti saranno eventualmente le deposizioni degli interlocutori da lei citati nelle intercettazioni telefoniche: l’”orsone” Gianni Pasero, , il fidato Giuseppe Merlassino detto Pino, l’odiata Patrizia Maccone, Stefano Albera, Fulvio Gualco, Marco Contino, Paolo Bessone, Bruno Lagomarsino, “quel deficiente di Panaro”, “quell’incapace” del direttore Stefano Bigini, Luigi Guarracino, Allegreschi, Lodone, Girolomoni, Vasori, Colatarci, avv. Bagnoli, Giuseppina Pavese dell’Arpa eccetera.

UDIENZA 6 MAGGIO 2013
Il futuro dello stabilimento chimico della Solvay di Spinetta Marengo sta in una vera bonifica, altrimenti chiuderà. Per la salvezza serve un piano industriale quale quello messo a punto da Medicina democratica per la Solvay di Rosignano (Livorno). Infatti il conflitto che in Alessandria oppone la multinazionale belga alle Parti civili e al Pubblico ministero ha la sua ragione di essere notevole. E’ nell’eventualità di una condanna anche a 15 anni di reclusione per i suoi otto dirigenti. E’ soprattutto nella preoccupazione per i costi economici che discendono dalla condanna. Non quelli dei risarcimenti alle parti lese: per un colosso internazionale sono inezie, in conto rischi e facilmente assorbibili rispetto agli utili astronomici di una impresa leader mondiale. Il vero costo, invece, una bella botta per gli azionisti di Bernard de Laguiche, sarebbe la condanna a pagare la bonifica di un milione di metri cubi di veleni tossici e cancerogeni, una ventina, tra i quali il cromo esavalente non è neppure il più micidiale, sotterrati sotto e accanto alla fabbrica. Bonificare significa togliere dal terreno la massa velenosa che altrimenti continuerà a sciogliersi nella gigantesca falda acquifera sottostante. Una spesa considerevole anche per azionisti che in dieci anni hanno pur collezionato utili stratosferici. Quando i belgi nel 2002, al termine di una lunga e complessa contrattazione, hanno comprato lo stabilimento bacato e conveniente, sapevano perfettamente, come tutti, dal primo cittadino all’ultimo operaio, meglio di tutti: come dimostrano la documentazione sequestrata e le intercettazioni telefoniche, sapevano questa drammatica situazione di inquinamento. Ecco che, piuttosto che estrarre i veleni dai terreni, piuttosto che estrarre i miliardi dalle loro tasche, hanno ordinato ai propri dirigenti di nascondere discariche e analisi e imbrogliare gli enti pubblici, cioè commettere reati, scientemente, con dolo: proprio come segnano i capi di imputazione: “avvelenamento doloso delle acque e dolosa omessa bonifica”. Ecco che poi, nel 2008, scoppiato il bubbone pubblico, avviato il procedimento penale, hanno proposto una bonifica finta, assai meno costosa (dai 2,5 ai 12 milioni, secondo le indiscrezioni di stampa). Hanno subito trovato una sponda giusta in Lorenzo Repetto, allora presidente dell’Amag, per un finto piano di bonifica costoso per gli enti pubblici e inutile: una impossibile “sciacquatura” delle acque avvelenate prelevate dalla falda, come raccogliere con un cucchiaio l’acqua dal lago. E’ inquietante il ruolo di faccendiere che emerge anche dalle intercettazioni, ma altresì sconcertò la compiacenza del Comune (sindaco Fabbio) a questo “piano Amag” di cui ora tutti ridono ma allora sputtanato solo da noi. Ora Solvay e alcuni sindacalisti e politici dicono: la vera bonifica non è possibile, costa troppo all’azienda che minaccia di chiudere la fabbrica. Il classico ricatto occupazionale. Dura da sempre: da quanti decenni rivendicammo l’Osservatorio ambientale della Fraschetta con al primo punto la richiesta delle indagini idrogeologiche ed epidemiologiche? Se i politici ci avessero ascoltato, oggi non saremmo a questo punto. A questo punto è comprensibile la disinvoltura della dispendiosa campagna mediatica “Operation adoucir les journalistes” orchestrata da Paolo Bessone, ovvero la foga con cui Solvay si sta battendo in Corte d’Assise per evitare una onerosa condanna ai suoi azionisti, ingaggiando in aula più famosi avvocati d’Italia e umiliando ammalati e parenti dei defunti. Mentre attende con preoccupazione che la Magistratura apra il secondo filone processuale per i gravissimi inquinamenti da PFOA, PFIB ecc. a danno di lavoratori, cittadini e ambiente, come documentato dai nostri esposti anche con le analisi del sangue dei dipendenti.
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"Sono banditi". I commenti si infittiscono man mano che scorrono i testimoni (ARPA, NOE) nel processo Solvay in Corte d’Assise ad Alessandria: “agivano come una banda, in concorso fra loro sotterravano tonnellate di rifiuti tossici e cancerogeni in discariche dentro e fuori lo stabilimento e scaricavano nelle falde acquifere dell’acquedotto cittadino e in Bormida, per non dire degli scarichi nell’aria, davano da bere l’acqua avvelenata ai lavoratori e agli abitanti, sottraevano e nascondevano e falsificavano i documenti e le prove compromettenti, fabbricavano doppie versioni, alteravano i computer, ingannavano gli enti pubblici, minimizzavano gli allarmi, evitavano le manutenzioni urgenti, non dichiaravano né affrontavano le emergenze, fingevano di fare bonifica con barriera idraulica. Però tutte queste attività dolose –proseguono sempre più corrosivi i commenti- non erano opera solo dei padroni belgi, comprensibili perché così guadagnavano miliardi , ma anche di più modesti dirigenti, stipendiati adeguatamente e indifferenti al fatto delittuoso che stavano avvelenando i colleghi di lavoro”. Si pensi che le acque di Alessandria erano avvelenate da almeno 20 sostanze fino a migliaia di volte i limiti di legge. Lo sono ancora oggi. Ci sono inoltre responsabilità morali a carico della connivenza di quadri e impiegati, mentre perfino operai tacevano per paura. Accanto ci sono le responsabilità penali che il processo sta giudicando per otto imputati, per alcuni dei quali abbiamo già fornito un profilo: da Bernard de Laguiche il padrone belga, a Carlo Cogliati il mega presidente, fino a Giorgio Canti il nasconditore degli scheletri negli armadi del famoso “archivio Parodi” e fido del deus ex machina Giorgio Carimati, mentre Paolo Bessone faceva da trait d’union tra i vertici belgi e i giornalisti e i sindacalisti “da addolcire”. Sarà interessante nella prossima udienza del 13 maggio ascoltare i convocati testimoni: Caterina Di Carlo per il suo ruolo determinante a fianco di Carimati e Canti, e Valeria Giunta responsabile in prima linea del laboratorio di igiene industriale, che qualche affanno sulla coscienza dovrebbero provarlo. Inoltre, nella recente deposizione dell’investigatore Francesco Ammirata (carabinieri NOE) sono stati citati testimoni attivi in ripetuti episodi di reato, come Fausto Pavese, Luigi Guarracino, Bruno Lagomarsino, Cosimo Corsa, Stefano Albera, Ermanno Manfrin, Fulvio Gualco, Alessandro Cebrero, Marco Contino ecc. Insomma, ci sono protagonisti in carne ed ossa in questo processo, a cominciare dagli ammalati e dai parenti dei defunti parti civili, mentre sui giornali si parla sempre di Solvay senza fare nomi, come se Solvay fosse una entità astratta.

RESPONSABILITA’ PENALI E/O RESPONSABILITA’ MORALI


Sono commenti che si infittiscono man mano che scorrono i testimoni (ARPA, NOE) nel processo Solvay in Corte d’Assise ad Alessandria: “agivano come una banda, in concorso fra loro sotterravano tonnellate di rifiuti tossici e cancerogeni in discariche dentro e fuori lo stabilimento e scaricavano nelle falde acquifere dell’acquedotto e in Bormida, per non dire degli scarichi nell’aria, davano da bere l’acqua avvelenata ai lavoratori e ai cittadini, sottraevano e nascondevano e falsificavano i documenti e le prove compromettenti, fabbricavano doppie versioni, alteravano i computer, ingannavano gli enti pubblici, minimizzavano gli allarmi, evitavano le manutenzioni urgenti, non dichiaravano né affrontavano le emergenze, fingevano di fare bonifica con barriera idraulica; però tutte queste attività dolose –diventano sempre più corrosivi a questo punto i commenti- non erano opera solo dei padroni, comprensibile perché così guadagnavano miliardi , ma anche di dipendenti, stipendiati un po’ più adeguatamente dei colleghi di lavoro che essi stavano avvelenando tramite le complicità con i vertici.” Si pensi che le acque di Alessandria erano avvelenate da almeno 20 sostanze fino a migliaia di volte i limiti di legge. Lo sono ancora oggi. Ci sono dunque responsabilità morali accanto alle responsabilità penali che il processo sta giudicando per otto imputati, per alcuni dei quali abbiamo già fornito un profilo: da Bernard de Laguiche il padrone belga, a Carlo Cogliati il mega presidente, fino a Giorgio Canti il nasconditore degli scheletri negli armadi del famoso “archivio Parodi” e fido del deus ex machina Giorgio Carimati, mentre Paolo Bessone faceva da trait d’union tra i vertici belgi e i giornalisti e i sindacalisti “da addolcire”. Sarà interessante nella prossima udienza del 13 maggio ascoltare i convocati testimoni Caterina Di Carlo per il suo ruolo determinante a fianco di Carimati e Canti, e Valeria Giunta responsabile del laboratorio di igiene industriale, che qualche affanno sulla coscienza dovrebbero provarlo. Inoltre, nella deposizione dell’investigatore Francesco Ammirata sono stati citati episodi che richiamavano a testimoni attivi, come Fausto Pavese, Luigi Guarracino, Bruno Lagomarsino, Cosimo Corsa, Stefano Albera, Ermanno Manfrin, Fulvio Gualco, Alessandro Cebrero, Marco Contino ecc. Ci sono dunque protagonisti in carne ed ossa in questo processo, a cominciare dagli ammalati e dai parenti dei defunti parti civili, mentre sui giornali si parla sempre di Solvay senza fare nomi, come se Solvay fosse una entità astratta.

SOLVAY: A BUSSI COME A SPINETTA

Tutti rinviati a giudizio i 19 imputati per il disastro ambientale dello stabilimento Solvay (ex Ausimont) di Bussi: l'acqua di falda presenta valori di contaminazione centinaia di migliaia di volte superiore ai limiti di legge per composti tossici e cancerogeni. Il processo da Settembre in Corte di Assise a Chieti. Alcuni sono imputati anche nel processo di Alessandria: Carlo Cogliati e Salvatore Boncoraglio. Altri hanno ricoperto ruoli dirigenti anche a Spinetta Marengo: Maurilio Aguggia, Nicola Sabatini, Luigi Guarracino, Bruno Parodi, Leonardo Capogrosso.

PREMIO ATTILA ALESSANDRIA 2012

Scegliendo fra 18 concorrenti (http://www.scribd.com/doc/123316895/Nominations-pdf#fullscreen ) selezionati via internet, la Giuria ha votato il Premio Attila Alessandria 2012. Al secondo posto, il direttore de Il Piccolo dovrà gareggiare per il prossimo anno, dipenderà tutto da lui. Ha vinto Carlo Cogliati già presidente della Solvay (ex Ausimont) di Spinetta Marengo (Alessandria),classe 1938: sono sempre stato il primo della classe si definiva, infatti è il principale imputato (fra 8) e contumace per avvelenamento doloso e dolosa omessa bonifica nel processo in corso per la catastrofe ambientale che ha annientato la più grande falda acquifera provinciale tramite cromo esavalente e altri 20 veleni tossici e cancerogeni, oltre ad aver inquinato del teratogeno PFOA fino alla foce del Po.
A prescindere dal protettorato di Comunione e Liberazione, non poteva non vincere Cogliati, avendo tra i supporters l’elevato numero di ammalati e famigliari dei deceduti, lavoratori e cittadini, a centinaia presenti come parti civili al processo dell’acqua bevuta. Senza tener conto delle ulteriori vittime in un altro processo che si aprirà per l’inquinamento dell’aria respirata. Nelle foto pubblicate sul blog potete apprendere che l’ambìto Premio Attila (già conseguito da calibri addirittura come Marcellino Gavio e Fabrizio Palenzona) è stato consegnato al contumace con apposita solenne cerimonia in ambiente severo e fresco, consono alla sua prossima ventura (15 anni di reclusione previsti per i reati ascrittigli). Come potete vedere (le foto sono autentiche!) , Cogliati è protetto da una costosissima armatura forgiata dai suoi avvocati difensori, i più famosi fabbri legulei italiani, armatura particolarmente a tergo rinforzata a parare i colpi degli ex padroni belgi. Il premio è consegnato da uno dei due dipendenti che lui, fra tante rappresaglie, licenziò per aver denunciato lo scempio ambientale, nonché anticipando le accuse di Tangentopoli. Se osservate le foto della tavola fastosamente imbandita, noterete le sedie lasciate vuote dai coimputati che lo vorrebbero unico capro espiatorio, mentre a complimentarsi intravedrete il fantasma del grande Gianni Spinolo, l’altro licenziato che rientrò trionfalmente in fabbrica con sentenza in nome del popolo italiano: gli terrà compagnia per i prossimi 15 anni. Finalmente privato dell’armatura, a pane e acqua, acqua al cromo come quella che aveva immesso nei rubinetti delle case, il recluso Cogliati avrà così tutto il tempo di rileggersi i 20 faldoni di documenti e intercettazioni telefoniche che l’hanno inchiodato penalmente nel processo del secolo, in vana attesa della consueta amnistia e rimuginando sugli stratosferici emolumenti percepiti: più che inversamente proporzionali alla proverbiale tirchieria aziendale soprattutto a scapito degli investimenti ambientali. Poi scontata la gattabuia, il fantasma lo terrà sveglio di notte per quei guadagni fatti sulla pelle della gente, che pur confiscati dalla Giustizia terrena neppure in minima parte hanno coperto i costi della bonifica del territorio, e per nulla risarcito le morti e le malattie. Il fantasma gli enumererà una per una le discariche illegittime non autorizzate né denunciate, i veleni sotterrati che ancora oggi dilavano nella falda sotterranea avvelenando i pozzi privati e l’acquedotto di Alessandria a mezzo di cromo esavalente, arsenico, antimonio, nichel, cloroformio, selenio, DDT, fluorurati, solfati, idrocarburi, metalli pesanti eccetera. Gli rammenterà di aver dolosamente nascosto agli enti pubblici la reale portata degli inquinamenti tossici e cancerogeni, e fatto nulla per eliminarli o soltanto ridurli, anzi, agendo con condotte delittuose per nascondere e falsificare documenti, analisi e dati ecosanitari. Gli ripeterà che non c’è perdono per aver così cagionato tumori e malattie ai lavoratori e ai cittadini, agli animali e alle piante. Né può consolare chiamare in correo gli altri imputati condannati, o gli impuniti nei decenni: politici, sindacalisti, amministratori, funzionari arpa e asl, magistrati.

UDIENZA 17 APRILE 2013

ALLA SBARRA REGISTI E ATTORI DELLA CATASTROFE CHIMICA DELLA SOLVAY DI SPINETTA MARENGO
Arrivavano direttamente da Bruxelles, casa madre della multinazionale Solvay, gli ordini per Spinetta Marengo: nascondere le tonnellate di veleni sotterrati, nascondere che le sostanze tossiche e cancerogene si stavano sciogliendo in falda, nascondere gli avvelenamenti delle acque dei pozzi e dell'acquedotto che uccidevano e ammalavano lavoratori e cittadini, falsificare le analisi e i documenti, imbrogliare gli enti pubblici. A differenza dei giornali, questo blog ha il coraggio di fare nomi e cognomi. Non fermiamoci al gran capo espiatorio: Carlo Cogliati. Diamo un volto al regista italiano dell'attività spionistica: Giorgio Carimati. Al grande occultatore di scheletri negli armadi: Giorgio Canti. Ai direttori solerti inquinatori: Stefano Bigini. Ai complici: Valeria Giunta.... Prima deposizione del processo Solvay di Spinetta Marengo (AL) , nell’udienza del 17 aprile 2013, Alberto Maffiotti è stato un teste chiave nella sua veste dal 2006 di direttore provinciale dell’ARPA (Agenzia regionale protezione ambientale). Ha sfogliato documenti su documenti, dei 20 massicci faldoni che contengono le prove dell’avvelenamento di una delle maggiori falde acquifere del Piemonte e della omessa bonifica del polo chimico. Avvelenamento delle acque somministrate ai dipendenti, avvelenamento dei pozzi privati e dell’acquedotto di Alessandria a mezzo di cromo esavalente, arsenico, antimonio, nichel, cloroformio, selenio, DDT, fluorurati, solfati, idrocarburi, metalli pesanti eccetera. Omessa bonifica delle discariche illegittime non autorizzate né denunciate, i cui veleni sotterrati ancora oggi dilavano nella falda sotterranea. Entrambi i reati commessi con dolo avendo nascosto agli enti pubblici la reale portata degli inquinamenti tossici e cancerogeni, e fatto nulla per eliminarli o soltanto ridurli, anzi, agendo con condotte delittuose per nascondere e falsificare documenti, analisi e dati eco sanitari, in ciò provocando malattie e morti fra centinaia di persone che si sono costituite parti civili anche con il patrocinio di Medicina democratica. Dunque dolo, fraudolenza, volontà di delinquere: Dante avrebbe collocato gli otto imputati nei gironi più bassi dell’Inferno. La Corte di Assise, più modestamente, può condannare anche a 15 anni di reclusione, a risarcire le vittime e soprattutto a bonificare la bomba ecologica a rilascio centenario. Il Direttore dell’Arpa, tramite i documenti nascosti dall’azienda e sequestrati dal pubblico ministero Riccardo Ghio, ha mostrato alla Giuria presieduta da Sandra Casacci, giudice a latere Gianluigi Zulian, che i dirigenti Solvay (ex Ausimont) non solo per decenni avvelenavano, ma sapevano che stavano avvelenando, consapevolmente come e quando, anzi minimizzavano le analisi agli enti pubblici, anzi le nascondevano, anzi le falsificavano prima e addirittura dopo il 2008, quando prese avvio la fase processuale. Emblematico, fra i numerosi documenti occultati e sequestrati, è stata l’esibizione in aula della mail con cui Solvay cercava di nascondere alle autorità che il catastrofico inquinamento era ben oltre i confini dello stabilimento ma raggiungeva il fiume Bormida e la città. La mail in oggetto non fu redatta da uno qualunque degli imputati, bensì da Giorgio Carimati: per la società belga responsabile tecnico giuridico per l’ambiente e la sicurezza di tutti gli stabilimenti italiani. (Nota 1) In costante contatto telefonico con Bruxelles (come da intercettazioni) Carimati era al di sopra di tutti i direttori delle fabbriche ai quali impartiva le disposizioni affinchè fossero “eseguite alla lettera” a cascata dalle maestranze, nonché era il coordinatore del pool degli avvocati. Disposizioni che, concordiamo con le rilevanze processuali, “non sono allineate a principi di integrità morale e giuridica, e si prestano ad aspetti confluenti in comportamenti configuranti reati”. (Nota 2). Ne sono infatti coinvolti altri soggetti della realtà spinettese, in scala gerarchica, consapevoli in varia misura dello stato di inquinamento acque e atmosfera, e soprattutto solerti attori delle manomissioni e degli occultamenti “suggeriti” dal regista Carimati. Ad esempio le doppi eversioni, segrete e ufficiali, delle analisi dei pozzi. Ad esempio, quando dai muri e dai pavimenti affiorava il giallo del cromo: si provvedeva a stenderci sopra una gettata di bitume o cemento. (Nota 3). Ma ne sapremo di più dal direttore Arpa nella prossima udienza del 24 aprile. (Nota 1) Stabilimenti ex Montedison di Spinetta Marengo (AL), Bussi sul Tirino (PE), Tavazzano (LO), Bollate(MI), Ravenna (RA), Rosignano Marittimo (LI), tutti con gravissimi problemi di inquinamenti suolo e acque. (Nota 2) I conseguenti comportamenti delle persone coinvolte dalle direttive di Carimati “danno corpo ad ipotesi di reato di avvelenamento di acque destinate al consumo umano, istigazione alla commissione di reati, falsi in atti, danni ambientali”. (Nota 3) Erano frequenti gli affioramenti di cromo esavalente dove era stato lavorato o sotterrato (ne parleranno numerosi testi). Nel corso della perquisizione del luglio 2008, viene sequestrato alla dottoressa Valeria Giunta un quaderno di lavoro con su annotato: “trovate tracce gialle verosimilmente cromo… steso manto bituminoso e gettata di cemento”, come impartito (vedi telefonata intercettata) da Giorgio Canti, altro imputato eccellente: responsabile ambientale prima di Ausimont e poi di Solvay, vera e propria memoria storica, vero e proprio occultatore professionista degli scheletri negli armadi. Sempre Canti telefona (intercettazione) alla Giunta: “ portami le analisi del pozzo 8 nelle due versioni ”, oppure “tieni lontano gli ispettori Arpa da quella roba strana gelatinosa rinvenuta nel canale”. Eccetera.

UDIENZA 27 MARZO 2013

La Corte di Assise di Alessandria ha respinto il tentativo Solvay di spostare il processo a Milano. Ci ha dato ragione. Finalmente il processo vero e proprio, esaurita la fase preliminare sfruttata dagli avvocati difensori per cercare di perdere tempo verso la prescrizione, potrà cominciare nel merito. Ma non facciamoci illusioni sulle tattiche dilatorie, l’esercito dei legali continuerà a buttare negli ingranaggi un’altra serie di artifici (tra cui far parlare ore e ore un numero spropositato di consulenti, che tanto per pagarli soldi a Solvay non mancano) per rallentare la sentenza e puntare sempre alla prescrizione.
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Noi parti civili, in aula fra ammalati e famigliari dei defunti, siamo convinti che il processo non possa che continuare nella sua sede naturale, ad Alessandria. Come è avvenuto da sempre e dappertutto: per Icmesa di Seveso, Montedison di Porto Marghera, Eternit di Torino e Casale, Ilva di Taranto, Fibronit di Voghera, Farmoplant di Massa, Acna di Cengio, Enichem di Manfredonia, Solvay di Bussi, Solvay di Ferrara, Solvay di Rosignano eccetera. Solvay di Spinetta Marengo afferma invece che il procedimento deve essere spostato a Milano se un giudice, anche solo uno fra 50, è residente nel Comune di Alessandria o è stato residente negli ultimi 15 anni. Perché? Perché condizionerebbe l’imparzialità della Corte d’Assise in quanto, come residente, sarebbe un “danneggiato, ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”. Sarebbe un “danneggiato”in astratto per il solo fatto di essere residente nel Comune di Alessandria. Sarebbe un “danneggiato” anche se non lamenta nessun danno, anche se non è parte civile al processo e neppure nel collegio giudicante, anche se (senza fare nomi e indirizzi divulgati dalla società belga) è residente ma fa il giudice a Saluzzo e Vercelli, o il pretore ad Acqui Terme, o il GIP a Torino, o è Uditore giudiziario senza funzioni a Torino, o è all’Ufficio di sorveglianza, o è Dottore agronomo e forestale della provincia ecc., anche se non ha mai messo piede a Spinetta Marengo, anche se non è più residente nel Comune da 14 anni ecc. Ma insomma, di quale reato è accusata Solvay? Di avvelenamento doloso delle acque e di dolosa mancata bonifica. Il punto è: quali acque sono state avvelenate da Solvay? Sono le acque consumate dentro lo stabilimento di Spinetta Marengo? Però non riguardano i giudici ma i lavoratori. Allora sono anche le acque prelevate nei pozzi di Spinetta e zone limitrofe, ad uso di privati, ex zuccherificio, fattoria Pederbona, Paglieri ecc.? Però non riguardano i giudici. Secondo il Pubblico ministero, infatti, il reato e il danno sono circoscritti a Spinetta e zone limitrofe, come da capo di imputazione, e in quelle zone non vivono magistrati, la Corte valuterà nel merito ciascuna parte civile. Invece Solvay presume paradossalmente che tutte le decine di pozzi dell’acquedotto di Alessandria siano tutti indistintamente inquinati? In forza di questa tesi allora Solvay starebbe sostenendo che tutti i cittadini residenti di Alessandria, capoluogo e sobborghi, tutti, tra cui astrattamente 50 giudici, sono “danneggiati ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”. E’ come dire che tutti gli alessandrini avrebbero diritto di costituirsi parti civili contro l’azienda per essere stati dalla stessa avvelenati per decenni! Clamoroso. Anzi, siccome la falda inquinata va anche in Bormida, di lì in Tanaro, poi nel Po, come dimostra il PFOA scaricato in Bormida e ritrovato alla foce del Po, dunque secondo il paradosso giuridico Solvay tutti i cittadini padani sarebbero “danneggiati” e tutti i tribunali della pianura padana sarebbero ricusabili? Allora che senso ha la richiesta di spostare il processo a Milano, meglio… a Palermo. In questo processo ne abbiamo viste di tutti i colori: Solvay che vuole costituirsi contro Edison e perfino contro se stessa, fino all’obbiettivo odierno di annullare tramite il trasferimento a Milano tutto il lavoro svolto dal tribunale e ricominciare il processo da capo, e avviarsi alla prescrizione.

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Solvay afferma che il processo deve essere spostato a Milano se un giudice, anche solo uno fra 50 in organico al tribunale, è residente nel Comune di Alessandria o è stato residente negli ultimi 15 anni. Perché? Perché condizionerebbe l’imparzialità della Corte d’Assise in quanto, come residente, sarebbe un “danneggiato, ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”. Sarebbe un “danneggiato” anche se non è parte civile al processo e neppure nel collegio giudicante. “Danneggiato” significa che ha subìto un danno. Ha subìto un danno se c’è stato un reato: non c’è danno senza reato. Di quale reato è accusata Solvay? Di avvelenamento doloso delle acque e di dolosa mancata bonifica. Quali acque sono state avvelenate da Solvay? Sono le acque consumate dentro lo stabilimento di Spinetta Marengo? Su queste Solvay non solleva eccezioni per le parti civili, ammette il reato e il danno. Però non riguardano i giudici ma i lavoratori. Allora si riferisce anche alle acque prelevate nei pozzi di Spinetta e zone limitrofe, ad uso di privati, ex zuccherificio, fattoria Pederbona, Paglieri ecc.? Pure su queste Solvay non eccepisce. Però non riguardano i giudici. Allora ci si chiede se si riferisce alle acque dell’intera falda inquinata: ma la falda va anche in Bormida, di lì in Tanaro, poi nel Po, come dimostra il PFOA scaricato in Bormida e ritrovato alla foce del Po. Dunque secondo Solvay tutti i cittadini padani sarebbero “danneggiati” e tutti i tribunali della pianura padana sarebbero ricusabili? Allora che senso ha la richiesta di spostare il processo a Milano, meglio… Palermo. Che casino. A farla breve, Solvay sostiene che l’avvelenamento, dunque il reato, dunque il danno astrattamente procurato ai 50 giudici residenti nel Comune di Alessandria sia derivato dall’inquinamento doloso dell’acquedotto di Alessandria. Presume un pozzo unico ovvero che tutti i pozzi siano inquinati. In questo caso Solvay sta sostenendo che tutti i cittadini di Alessandria, capoluogo e sobborghi, tutti sono “danneggiati ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”. Tra i cittadini “danneggiati” ci sarebbero astrattamente i 50 giudici per il solo fatto di essere residenti nel “mandrognato”. Analogamente, secondo una Solvay in veste autolesionista migliaia di alessandrini hanno diritto di costituirsi parti civili contro l’azienda per essere stati dalla stessa avvelenati per decenni! Clamoroso. Secondo il Pubblico ministero, invece, il reato e il danno sono circoscritti a Spinetta e zone limitrofe, come da capo di imputazione, e in quelle zone non vivono magistrati, la Corte valuterà nel merito le parti civili. Conclusione: autolesionismo da parte di Solvay? Non crediamo. Il suo obbiettivo, di oggi, è di annullare con il trasferimento a Milano tutto il lavoro svolto dal tribunale e ricominciare il processo da capo, e avviarsi alla prescrizione. Domani studierà altre “gabole”. Noi tra le parti civili in aula, fra ammalati e famigliari dei defunti, non crediamo ai “fini giuristi” della difesa che arzigogolano articoli c.p.p. piccici cipicipi per ore con dossier… anagrafici, ma ragioniamo con il buon senso giuridico e sappiamo che il processo debba continuare nella sua sede naturale, ad Alessandria. Come è da sempre avvenuto dappertutto: per Montedison di Porto Marghera, Solvay di Bussi, Eternit di Torino, Ilva di Taranto, Fibronit di Voghera, Farmoplant di Massa, Acna di Cengio, Enichem di Manfredonia, Icmesa di Seveso eccetera.

UDIENZA 27 FEBBRAIO 2013
Ci hanno rimproverato di aver scritto in merito al processo Solvay: “I tempi e i modi del procedimento penale sono difficili da comprendere per i non addetti ai lavori, e l’impressione diffusa è che lo stuolo di rinomati avvocati difensori abbia buon gioco a rinviare rinviare fino a concludere tutto in una irridente bolla di sapone”. Ci hanno rimproverato di aver commentato una foto di repertorio sui giornali comprendente un lavoratore nel frattempo deceduto: “Si fa in tempo a morire prima di ottenere giustizia” . Infatti ci obbiettano che i tempi di questo processo non sono più lenti di altri, anzi, bisogna tener conto che è un procedimento complesso, con una mole di documenti impressionante onore al merito del Pubblico ministero, che i giudici sono ad organici ridotti all’osso, con un battaglione di legali della difesa che straripano nell’aula e che tentano tutti i cavilli per allungare il dibattimento, magari parlando due ore ciascuno nel ripetere sempre lo stesso concetto. Sarà tutto vero, anzi lo è, ma noi interpretiamo lo stato d’animo di persone che vorrebbero sapere infine se ci sono colpevoli delle proprie malattie o della morte dei propri famigliari, se verranno risarcite, se e come quella fabbrica continua a uccidere, come si potrà impedire bonificandola, e attendono di saperlo quanto meno dal 2008 quando scoppiò il bubbone penale. Teniamo presente che prima del 2008, c’è stato chi (Medicina democratica) ha denunciato per decenni cosa accadeva a Spinetta Marengo, con tanto di esposti penali, mentre le luci del palazzo di giustizia non si sono accese. Allora si comprendano le aspettative deluse di chi si accorge che dopo quasi cinque anni il processo è ancora ai preliminari e non si consola addebitando, come è giusto, il sistema giuridico, i quasi quattro gradi di giudizio, i governi che non hanno assicurato risorse adeguate al funzionamento dei tribunali: una giustizia insomma che non funziona ma non quella a cui si riferisce Berlusconi, il quale anzi ne beneficia, bensì quella della gente comune che attende anni e anni. Immaginiamo poi la reazione se ci fosse la beffa di ricominciare tutto da capo trasferendo il processo Solvay da Alessandria a Milano, secondo il conseguente principio che nessun processo, soprattutto per inquinamento ambientale, di fatto può celebrarsi nella giurisdizione dove i fatti criminosi si sono compiuti. Il paradosso degli avvocati difensori è che, all’occorrenza, sostengono l’opposto, come lo spostamento del processo Eternit da Torino a… Casale Monferrato, tentativo respinto dal tribunale. Vedremo cosa succederà il prossimo 13 marzo: alla prima del ciclo serrato di udienze programmate per entrare nel merito del processo.

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Una massima è una norma soggettiva e non un imperativo a cui tutti si devono attenere (Kant). “La giustizia è uguale per tutti”: sta scritto bello grosso. Diciamoci la verità, in mezzo alla gente non c’è molta fiducia in questa massima. Infatti quanti cittadini hanno rinunciato a presentarsi parti civili al processo, sfiduciati: non daranno mai torto ad un colosso come Solvay, dicono. Anche i centocinquanta ammalati e parenti dei defunti, che hanno dato fiducia alla Magistratura come parti lese, sono perplessi dopo tante udienze del processo. I tempi e i modi del procedimento penale sono difficili da comprendere per i non addetti ai lavori, e l’impressione diffusa è che lo stuolo di rinomati avvocati difensori abbia buon gioco a rinviare rinviare fino a concludere tutto in una irridente bolla di sapone. L’ultima udienza in Corte di Assise ad Alessandria si è svolta il 19 dicembre. Molti dei cittadini in aula, sommersi dalle procedure processuali, non hanno neppure inteso cosa si discuterà il prossimo 27 febbraio. In soccorso di Solvay si è intromesso il Ministero dell’Ambiente. A Solvay infatti la Corte aveva respinto il tentativo di costituirsi parte civile contro il proprio presidente: una manovra degli illustri legali per scaricare gli oneri penali e patrimoniali di Solvay su Ausimont (di cui Cogliati era stato pure presidente prima della vendita dello stabilimento di Spinetta Marengo). Ebbene, il Ministero dell’Ambiente, distinguendosi da tutte le altre parti civili (persone fisiche, enti locali, associazioni), sta tentando di costituirsi parte offesa anche contro Edison, cioè l’erede di Ausimont. Non c’è dubbio che il Tribunale respingerà questa assurdità giuridica, ma intanto si continua a perdere tempo, a rinviare rinviare. Oltre alla tattica del rinvio, c’è quella della cortina di silenzio che Solvay vorrebbe avvolgere attorno al processo, mentre accarezza l’ardire di spostarlo a Milano. Le intercettazioni della Procura della Repubblica hanno messo in rilievo l’attività della multinazionale di “addolcimento” dei giornalisti, tant’è che il trisettimanale cittadino è stato costretto a sostituire il giornalista coinvolto. Però cancellare, far tacere Medicina Democratica resta l’imperativo di Solvay. Sarà una coincidenza che nella cronaca de Il Piccolo si evita che Medicina democratica sia addirittura nominata: è anonimamente definita “una associazione che assiste gli abitanti”. Il molto reverendo direttore dello stesso giornale non manca di telefonarci minacce, pardon, avvertimenti. “Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire” (Manzoni).

UDIENZA 19 DICEMBRE 2012

La Corte di Assise di Alessandria ha –ovviamente- respinto le eccezioni presentate da Solvay. I rinomati avvocati difensori sapevano benissimo che sarebbe andata a finire così. Perché allora hanno presentato tutto quell’azzeccagarbuglio che era già stato respinto dal GUP Giudice Udienza Preliminare? Perché addirittura Solvay consumava le udienze nel risibile tentativo di costituire Solvay parte civile contro… il presidente Solvay? Perché? Non tanto per allungare le parcelle dei legali (anche) ma per un obbiettivo semplice: nell’obbligare il Tribunale a riascoltare e tutto ridiscutere sono riusciti a perdere altri mesi, cioè a far guadagnare a Solvay rinvio a rinvio verso il traguardo delle prescrizioni e delle amnistie. La prossima udienza è fissata per il 27 febbraio. Restano sconcertati dei tempi della giustizia coloro che non sono abituati a frequentare i palazzi di giustizia, soprattutto le vittime e i parenti delle vittime che nella Giustizia hanno riposto la loro fiducia.

UNO SPETTACOLO NON EDIFICANTE PER IL GIORNALISMO ALESSANDRINO

Nell'udienza del 28 novembre del processo Solvay in Corte di Assise ad Alessandria il Public Relations della multinazionale belga è stato beccato dalla Presidente del Tribunale mentre filmava di nascosto. L’episodio può essere declassato come una figuraccia di un PR maldestro, riducendolo -come è stato descritto- a macchietta. Oppure, senza ironia, come un abituale caso di spionaggio industriale sugli attori del processo: giudici, parti civili, avvocati. Invece da esso si può produrre una riflessione più ampia. Vediamola. Cosa ci fa sempre il PR alle udienze? Relazioni con i giornalisti, si risponderà. In effetti lo si nota assiduo con alcuni. Che c’è di male, si dirà. Niente: alla luce del sole. Se non che la frequentazione avviene anche in forme riservate, lontane da orecchie indiscrete. Come hanno documentato le compromettenti intercettazioni telefoniche ordinate dalla Procura della Repubblica (mancano purtroppo i vis à vis). Orbene, avrete notato che i giornali non pubblicano mai comunicati stampa della Solvay. Noi (ci possono intercettare tranquillamente) non usiamo altro mezzo che i comunicati stampa, che talvolta ci vengono pubblicati, ad eccezione de Il Piccolo; noi non facciamo visite a domicilio. Eppure la voce di Solvay compare in continuazione nei servizi giornalistici, e noi non possiamo neppure replicare alla disinformazione perché non ha la forma diretta del comunicato stampa. Si dirà: il PR Fabio Novelli fa il suo lavoro, ben pagato. Si dirà che certa inquietante riservatezza non è detto che sconfini nell’illecito. Però Andreotti ci ha insegnato che pensare male preclude il paradiso, ma talvolta serve. Ascoltando le suddette intercettazioni telefoniche, la conclusione è lampante: attraverso i propri canali privilegiati l’azienda riesce facilmente a fare apparire messaggi contrari alla verità. Il tono è confidenziale, il fine è collaborativo, il risultato è complice. Franco Capone (Telecity) fornisce perfino documenti riservati del Sindaco a Paolo Bessone! Bessone è l’imputato che faceva appunto da trait d’union tra i vertici belgi e i giornalisti e i sindacalisti “da addolcire” (sui sindacalisti, in particolare Michele Muliere-CISL, ritorneremo prossimamente). “Adoucir les journalistes” è il programma aziendale, con quali sostanze zuccherine non sappiamo. Bessone chiama Giorgio Carimati, imputato responsabile del settore ambientale, e gli dice di essere a conoscenza di quanto uscirà sui giornali all’indomani, e addirittura glielo legge! E’ quel che si dice “velina”. Stefano Bigini, imputato direttore dello stabilimento, telefona a Bessone il proposito di ricattare gli Enti locali tramite notizie di stampa in forma anonima! Anonimato che i giornalisti evidentemente gli garantiscono. Enrico Sozzetti (Il Piccolo) lo chiamano “il nostro”, “l’andiamo a trovare domani in redazione”. Capone è “l’amico Capone”. Insomma, nelle intercettazioni, telefonate simili sono all’ordine del giorno. Non è uno spettacolo edificante per il giornalismo alessandrino. Il giornalista che scrive sotto dettatura del committente. Non solo, nel contempo si esercita la censura alle voci che denunciano le malefatte della Solvay. Il Piccolo, molto prodigo di servizi padronali, negli ultimi anni non ha mai pubblicato un comunicato stampa di Medicina Democratica. Mai. Eppure Medicina Democratica è l’unica parte civile indiscussa perchè è da 40 anni l’antagonista storico dell’azienda di Spinetta Marengo. In passato Il Piccolo diede adeguato rilievo alle nostre denunce ambientali e alle odiose rappresaglie che seguirono. Finchè non è subentrato come direttore Roberto Gilardengo. Noi, pur bersaglio dell’ostracismo, non ne facciamo una questione personale. Non diciamo, come si dice nell’ambiente, che è uno che ha paura della propria ombra. Figuriamoci l’ombra della Solvay. Sappiamo anche che c’è sempre lo zampino del datore di lavoro dietro ogni redazione, e c’è chi è più ligio ad attaccare l’asino dove vuole il padrone. Diciamo che ogni giornale ha il direttore che si merita. Ma gli alessandrini? Chissà, magari Il Piccolo ha un grande successo commerciale, ma giornalisticamente parlando… mai un approfondimento, una inchiesta, scomodare qualcuno… bensì morti e veline. Noi piccoletti andiamo avanti con le nostre forze, con la schiena dritta, con i nostri “pochi” lettori (mica tanti in meno de Il Piccolo) e in barba all’ostracismo de Il Piccolo.

UDIENZA DEL 28 NOVEMBRE 2012

Il GUP giudice udienze preliminari aveva già respinto, con tanto di argomentazioni, la contrarietà di Solvay alla costituzione delle parti civili (enti locali, associazioni, persone fisiche). Aver riproposto in Corte d’Assise l’opposizione altro non serve alla società belga che ad allungare -come già avvenuto in questi anni- il processo fino al traguardo agognato delle prescrizioni. In questo obbiettivo, il colpo gobbo sarà il tentativo scandaloso di spostare la sede giudiziaria da Alessandria a Milano, al fine di ricominciare il procedimento d’accapo, buttando alle ortiche un mucchio di anni di lavoro giudiziario e di soldi dello Stato, nonché tutti coloro -anche fra le vittime- che credono ancora nella Giustizia. Sempre nell’ottica di questo obbiettivo e tornando all’udienza del 28 novembre, è stato ribadito il tentativo di Solvay -clamoroso come boomerang ovvero come gioco delle parti- di presentare se stessa quale parte civile. Cioè la Solvay chiede i danni! Quali danni? Quelli concernenti la bonifica. Ma se non ha fatto -dolosamente- nessuna bonifica, anzi l’inquinamento è rimasto quello di prima! Danni chiesti a chi? Al presidente dell’Ausimont venditrice dello stabilimento di Spinetta Marengo. Ma se Cogliati è stato presidente della Solvay acquirente! Ma se egli ha agito con dolo, secondo il capo di imputazione, omettendo la bonifica e nascondendo e manipolando i documenti compromettenti, tanto quando era presidente dell’Ausimont tanto quando poi era presidente della Solvay! Insomma Solvay vorrebbe costituirsi parte civile contro… se stessa. Pretenderebbe (da un fantomatico capro espiatorio fra tutti gli imputati) i danni che si è procurata essa stessa, per dolo: omettendo e ostacolando la bonifica per risparmiare miliardi di investimenti (devoluti in utili agli azionisti belgi). Se Solvay di oggi vuole rivalersi contro la Solvay di ieri: lo faccia in un altro processo, non in questo, hanno commentato indignati gli ammalati e i famigliari dei deceduti, adesso paghi le proprie colpe. Morale dell’udienza. C’è chi in Solvay si è mostrato offeso per essere stato definito “facce di merda”. Che sintetizza in maniera ancora insufficiente il nostro giudizio. Siamo volgari? Quando ce vo ’ ce vo’.
Prossima udienza il 19 dicembre.

UDIENZA DEL 7 NOVEMBRE 2012

La strategia è sempre la stessa: rinviare rinviare in attesa di prescrizioni e indulti. Nell’udienza del 7 novembre gli imputati hanno infatti cercato di ricominciare il processo da capo riproponendo in Corte di Assise tutte le eccezioni che il GUP giudice delle indagini preliminari aveva già respinto al termine di defatiganti udienze. Come Medicina democratica siamo tranquilli che tutte le parti civili da noi rappresentate –cittadini e lavoratori ammalati o eredi dei defunti- hanno tutti i diritti di essere presenti al processo e risarciti per i danni ampiamente documentati sia come causa che come effetti. Sgradevole oltre ogni limite, per mancanza di rispetto per le vittime, è stata l’affermazione di uno degli avvocati difensori che “a Spinetta Marengo non c’è mai stato nessun pericolo. Va rilevato inoltre il tentativo degli imputati di estromettere dal processo quali parti civili i cosiddetti “enti esponenziali”, cioè le associazioni ambientaliste, anche se nessun avvocato si è azzardato a proporlo contro Medicina democratica. Mentre perfino per il Comune di Alessandria è stata chiesta l’eliminazione. Su tutto deciderà il Tribunale. Ma il clou più atteso dell’udienza è stata la richiesta di Solvay di costituirsi parte civile contro Carlo Cogliati, cioè contro il già presidente dell’Ausimont, ma anche poi presidente della Solvay, cioè paradossalmente “Solvay vuole costituirsi parte civile contro se stessa”. Lo stesso difensore di Cogliati ha spiegato alla Corte il perché del paradosso. Cogliati come capro espiatorio serve come “anticipo dell’azione di rivalsa”, in parole povere per scaricare il barile sull’Ausimont venditrice che, estinta, non può far fronte agli ingenti costi di bonifica, i quali secondo noi e il Pubblico ministero competono a Solvay compratrice. Lo stesso avvocato ha rincarato la dose: “E’ di Solvay penalmente la responsabilità maggiore rispetto all’Ausimont, non ha fatto nessuna bonifica, la gestione dissennata è stata proprio quella dal 2002” (anno di cessione formale dello stabilimento da Ausimont a Solvay n.d.r). C’è tra il folto pubblico chi vede nello scontro Ausimont-Solvay un reciproco massacro e chi invece un gioco delle parti per salvarsi entrambi le chiappe. Che non siano le vittime di entrambe le società a pagarne i prezzi!

Le doverose condanne dei colpevoli non sono l’elemento dominante. Due sono in realtà le architravi di questo maxi processo a Solvay in Corte d’Assise di Alessandria. Una è il risarcimento dei lavoratori e cittadini morti o ammalati presenti come parti civili a centinaia, fra le migliaia di vittime della storica catastrofe ecologica provocata dal colosso chimico di Spinetta Marengo. L’altra architrave è la bonifica del sito, affinchè per il futuro non produca più morte e malattia. Ebbene, il risarcimento e soprattutto la bonifica hanno un costo assai rilevante che la ricca Solvay non vuole pagare, tentando di scaricare il barile addosso alla insolvente Ausimont, dalla quale aveva acquistato a basso prezzo lo stabilimento consapevolmente cosciente che era come una mela marcia, anzi incrementando il marcio e nascondendolo, dolosamente secondo il Pubblico Ministero, alle autorità di controllo (peraltro molto distratte e sorde ai nostri ripetuti appelli).

Così si spiega la mossa clamorosa sulla quale il Tribunale è chiamato a pronunciarsi: Solvay ha chiesto alla Corte di costituirsi parte civile contro Carlo Cogliati quale presidente dell’Ausimont, volendo dimostrare di essere stata ingenuamente raggirata dall’azienda venditrice. Si tratta, è evidente, di una richiesta senza senso, né di senso comune né di senso giuridico, che il Tribunale non potrà che respingere. Infatti Cogliati è stato dapprima presidente dell’Ausimont ma poi presidente della stessa Solvay! Dunque Solvay finirebbe per costituirsi parte civile contro se stessa! Se questa non è una palese ammissione di responsabilità!?

La società belga, pur avendo goduto di utili stratosferici, sta cercando disperatamente di sottrarsi ai costi di bonifica. In tutti i modi. Invitiamo chi legge ad affacciarsi sulla fabbrica dal castello di Marengo, o meglio aggirandolo da via della Stortigliona dopo il ponte sul Bormida, o guardando le immagini su questo blog. Le montagne che si vedono contengono discariche di rifiuti tossici e cancerogeni, gessi fluorurati e clorurati che la Procura ha rinvenuto nelle acque, all’esterno ricoperte di argilla e teli di plastica. Questa non è bonifica ! Si tratta di una soluzione a buon mercato che posticcia non mette assolutamente in sicurezza questi siti, fra i tanti sparsi nello stabilimento. Il dilavamento dei veleni sotterrati, infatti, con la pioggia e la neve riprenderà inevitabilmente dal terreno alla già inquinata falda sottostante. Una soluzione provvisoria, sapendo che il provvisorio da noi diventa definitivo. Se questa è l'esempio di bonifica che si propone per il polo chimico di Spinetta Marengo: possiamo prepararci al disastro ecologico definitivo. I veleni non vanno sotterrati ulteriormente bensì tolti. A cominciare da quelli sotto l'impianto Algofrene che va chiuso e riallocato. La chiusura di questo impianto, che sta sprofondando, era già nei programmi della società belga con approvvigionamenti assicurati e nessun problema occupazionale, ma ora è stata sospesa come pressione nei confronti della Magistratura. Ma noi saremo ben attivi al processo (che riprende il prossimo 28 novembre).

UDIENZA DEL 17 OTTOBRE 2012

La notizia clamorosa uscita dall'udienza del 17 ottobre in Corte d'Assise del tribunale Alessandria è che Solvay si costituisce parte civile nei confronti di Carlo Cogliati e Francesco Boncoraglio, rispettivamente il presidente delle società Ausimont e Solvay e il responsabile centrale della Funzione ambiente. Solvay si costituisce parte civile contro se stessa!! Infatti, vedasi il "decreto che impone il giudizio" a firma del Giudice delle indagini preliminari, Stefano Moltrasio, è "Cogliati Carlo quale presidente del C.d.A e amministratore delegato della società Solvay Solexis S.p.a. nel periodo maggio 2002- ottobre 2003". Lo stesso Boncoraglio ne è responsabile ambiente fino al 2002. Di fatto, si tratta, da parte di Solvay, di una ammissione di responsabilità clamorosa.


UDIENZE GUP GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE 


DAL PUBBLICO MINISTERO AL GUP

Mentre attendiamo che la Magistratura apra un altro prioritario filone di indagine per i gravissimi inquinamenti da PFOA, PFIB ecc. a danno di cittadini, lavoratori e ambiente, come documentato nei nostri esposti anche con le analisi del sangue dei dipendenti, con soddisfazione rileviamo che la Procura della Repubblica, con la richiesta al GUP di rinvio a giudizio di 38 indagati per avvelenamento doloso e mancata bonifica (fino a 15 anni di reclusione), ha accolto i tre punti cardine dell’altro esposto presentato l’anno scorso da Medicina democratica. Vale a dire: 1) non solo cromo esavalente ma almeno altri 20 veleni tossici e cancerogeni sono sotterrati per 500 mila metri cubi (o forse il doppio?) sotto lo stabilimento di Spinetta Marengo. 2) La Solvay (e prima di lei Arkema) ne era perfettamente a conoscenza, come tutti, e più di tutti: non a caso avendo acquistato il complesso chimico per un tozzo di pane. 3) La Solvay ha nascosto e contrabbandato le discariche, ha ingannato le amministrazioni e omesso la bonifica.

Dunque le aziende, e non la collettività, dovranno pagare i danni alle persone, alle falde, agli acquedotti, e soprattutto i costi della bonifica, intendendo per bonifica l’eliminazione dei veleni sotterrati e giammai il costoso piano AMAG di inutile “lavaggio” delle acque. In questo senso ci sono già studi e ricerche. Mentre ci si opporrà il ricatto occupazionale.

Come avevamo annunciato nel nostro esposto, al processo per il disastro ecologico ci presenteremo quale parte civile, insieme agli ammalati e ai famigliari dei cittadini e dei lavoratori deceduti. Con o senza i sindacati. In sede processuale cercheremo di individuare, accanto alle responsabilità dei dirigenti aziendali, anche le responsabilità di amministratori ed enti di controllo pubblici. Responsabilità penali, perché quelle morali e politiche sono evidenti: se i politici avessero realizzato l’Osservatorio ambientale della Fraschetta da noi rivendicato da 30 anni, non saremmo arrivati a questo drammatico punto: le indagini idrogeologiche ed epidemiologiche erano infatti al primo punto dell’Osservatorio. Se i sindacati avessero sostenuto l’Osservatorio piuttosto che le direzioni aziendali, avrebbero difeso i posti di lavoro del futuro.

Ora azienda e alcuni sindacati dicono: la bonifica è impossibile, se no la fabbrica chiuderà. Il classico ricatto occupazionale. Invece è possibile togliere la montagna di veleni. Ci sono già studi e ricerche. Però ci vogliono i soldi. Soldi della Solvay. Piuttosto che buttare via soldi pubblici per il piano AMAG di inutile “sciacquatura” delle acque avvelenate. L’opinione pubblica, di cui facciamo parte, ha l’obbligo morale di pretendere una “OPERAZIONE TRASPARENZA”: verificare super partes, secondo modelli matematici, con una massa di carotaggi e interventi idrogeologici cosa e quanto è sepolto sotto la fabbrica e le colline adiacenti.


LA VIGILIA

Il processo penale per avvelenamento doloso e omessa bonifica è alle porte (14 dicembre) e Bruxelles sta sempre più potenziando lo staff che, all’indomani dello scandalo cromo, aveva creato per restaurare la disastrosa immagine pubblica. La massiccia campagna mediatica è denominata “Operation adoucir les journalistes”, “Operazione addolcire i giornalisti”. Tra gli obbiettivi: risparmiare i costi della bonifica delle falde inquinate da cromo esavalente e altri 20 veleni. Sveliamo gli altarini.

Solvay sta producendo uno sforzo mediatico eccezionale. All’ “Operation adoucir les journalistes” ci lavora uno staff con illimitati mezzi capeggiato da Paolo Bessone, il tuttofare responsabile del personale ma soprattutto portavoce dello stabilimento di Spinetta Marengo (AL) in stretto contatto con i giornalisti locali. Ma sopra di lui, sopra tutti, domina la figura di Giorgio Carimati: in Italia una potenza gerarchica in diretto rapporto con Bruxelles (la sede internazionale della Solvay) e uno dei principali imputati al processo. Ne sentirete delle belle.

Come il dibattimento processuale, siamo convinti, dimostrerà (e noi ci adopereremo in tal senso), in realtà l’Operation è andata oltre i giornalisti, coinvolgendo amministratori, politici e funzionari, dando per acquisiti i sindacalisti. La campagna mediatica è lanciata in grande stile: articoli sui giornali (clicca qui), abbracci sindacali, borse di studio, buoni anziani, buoni libro, buoni asilo, annunci di miliardi investiti, interviste pilotate, gadget, depliant casa per casa come Berlusconi. Tanto fumo e poco arrosto. Fumo negli occhi anche il roboante annuncio di 50 assunzioni. I contratti a 3 mesi non sono assunzioni! In realtà Solvay si è ridotta a 524 dipendenti e scenderà sotto 500, a cui si aggiungono 50 precari con mansioni e retribuzioni e garanzie da precari. Siamo al minimo storico occupazionale e con ricorso a straordinari e appalti, che non sono certo garanzia di sicurezza. Però con tanto di “apprezzamento dei chimici CGIL CISL UIL e RSU”, come leggiamo sui giornali. PFIB e PFOA sono piccole sviste ambientali e sanitarie. Tanto le indagini epidemiologiche non vengono fatte, i rilevamenti degli inquinanti non vengono pubblicizzati.

La sfrontatezza Solvay, alla vigilia del processo che vede (per ora)38 imputati difesi da una cinquantina di avvocati , viene raggiunta con “la disponibilità di contribuire economicamente per finanziare un piano di bonifica”. Contribuire? Ma chi ha inquinato deve bonificare di tasca propria. Non con i soldi pubblici. O pensa di cavarsela con qualche milioncino (12 secondo La Stampa, 2,5 secondo Il Piccolo) per sciacquare le falde pregne di cromo e altri 20 veleni? Ci pensa sì, tanto da investire per l’operazione mediatica un capitale, un nonnulla se paragonato ai costi di bonifica.

“Operation adoucir”… Sarà dura. “La bete noire”, la bestia nera, come è stata definita da Bruxelles, non si è lasciata intimidire dalle minacce. Medicina democratica infatti conta di essere protagonista in questo processo. E anche grazie a questo blog, che hanno ribattezzato “le notre WilkiLeaks”.

UDIENZA 14 DICEMBRE 2010

Al processo Solvay, è stata desolante l’immagine della giustizia che hanno avuto i lavoratori e i cittadini ammalati e i parenti delle vittime dell’inquinamento mentre hanno affollato per chiedere giustizia l’aula del tribunale di Alessandria. In quest’aula, già di per sé desolante per incuria e disordine e sporcizia, essi hanno giudicato uno spettacolo deprimente: lo stuolo di avvocati degli imputati che iniziano la melina per inficiare gli atti dell’accusa e per arrivare di rinvio in rinvio alla prescrizione delle condanne, le burocrazie giudiziarie che smarriscono una notifica perfino nel tragitto tra Alessandria e Spinetta Marengo, il giudice dell’udienza preliminare che molla tutti in asso per ore, addirittura il rinvio dell’udienza di 4 mesi, altri 4 mesi, dopo che sono già passati 2 anni dall’inizio del procedimento penale. Visi lunghi tra gente ma visibilmente soddisfatto il responsabile Solvay dell’ “Operation adoucir les journalistes” che fra i presenti su e giù per i corridoi ha fatto la spola a curare l’immagine della società belga, compito assai arduo quando si sta tentando di sfuggire al giudizio della legge. La legge è uguale per tutti: in alto campeggiava la scritta a cui molti, prima di tornare a casa, avrebbero aggiunto un punto interrogativo. Medicina democratica, con le sue tre valige piene costituzioni di parti civili, ritornerà all’udienza del 5 aprile 2011 quando non rinuncerà di certo a chiedere giustizia.

UDIENZA 5 APRILE 2011

E’ senz’altro merito di Medicina democratica, che le ha promosse e propagandate, se le costituzioni a parte civile hanno già raggiunto un numero così elevato, e che sarà destinato ad aumentare. Si tratta di lavoratori e abitanti che hanno perso la vita e la salute e ora chiedono la condanna e il risarcimento alle aziende e ai 38 imputati. Solvay, con l’esercito dei suoi avvocatoni, farà fuoco e fiamme per impedire la partecipazione delle parti civili al processo. La più rappresentativa e titolata fra le Associazioni ambientaliste costituendi, è senz’altro Medicina democratica che da 40 anni – si pensi all’operato di Lino Balza- si batte per la salute dentro e fuori la fabbrica, dimostrandolo agli atti, ce ne fosse bisogno, con migliaia di pagine di documenti, esposti, articoli ecc. E Medicina democratica sarà per gli inquinatori proprio il nemico numero uno al processo, perché in esso svolgerà la parte più attiva e professionale per dimostrare la colpevolezza degli imputati. Fra le parti civili figurano anche Comune e Provincia: che siederebbero meglio sul banco degli accusati per tutte le omissioni e complicità di sempre. Scandalosamente assente la Regione. Senza sorpresa, assenti CISL e UIL, da sempre conniventi aziendali. Tirata per le orecchie, invece partecipa la CGIL, ma a proprio titolo e non a rappresentare i lavoratori ammalati e morti per inquinamento, compito che è toccato a noi assumere in sua vece. Il processo del secolo riprenderà il 12 maggio.

UDIENZA 12 MAGGIO 2011 

Secondo l’esercito di avvocati, nessuna parte civile è ammissibile al processo davanti al GUP di Alessandria. Cioè non c’è nessun danneggiato. Non ci sono morti e ammalati passati presenti e futuri, dunque nessun risarcimento. Né ci sono inquinamenti passati presenti e futuri, dunque nessuna bonifica da fare, dunque nessun risarcimento. Non si capisce perché fare un processo se non ci sono parti civili,i danneggiati tra le persone e gli enti. Secondo il fior fiore legale dei 38 imputati, non può entrare come parte lesa nel processo nessun morto/ammalato, nessuna amministrazione pubblica, nessuna associazione ambientalista, addirittura neppure Medicina democratica che dello stabilimento di Spinetta Marengo si sta indiscutibilmente occupando da 40 anni,subendo qualunque tipo di rappresaglia. Anzi, questi super avvocati, nella foga tribunizia, si contraddicono tra di loro: alcuni affermando che l’unica parte civile ammissibile è il Ministero dell’ambiente, altri chiedendo che tale ministero sia escluso. Perfino Solvay usa la parola “criminali” riferendosi ai dirigenti Montedison (non più processabili per prescrizione o per decesso intervenuto) dai quali, dice, ha ereditato la catastrofe ambientale del cromo esavalente e altri 20 veleni tossico cancerogeni sepolti: “non ne conoscevamo l’esistenza”. E’ uno scaricabarile inaccettabile perché non c’è stata soluzione di continuità tra le due gestioni proprietarie e gestionali. I dirigenti Montedison che sapevano tutto sono rimasti tali anche sotto Solvay. Tant’è che la pubblica accusa a carico degli imputati non è di ”colpa” bensì di “dolo”. E sel’accusa è di dolo, ragionevolmente ce la spieghiamo: 1) per essere essi stati a conoscenza dell’esistenza di enormi discariche tossiche e cancerogene, illegittime e non autorizzate; 2) per aver omesso la manutenzione della rete idrica dello stabilimento provocando enormi dilavamenti delle sostanze inquinanti; 3) per non aver fatto il necessario per eliminare o solo ridurre l’inquinamento; 4) per aver avvelenatole falde sotterranee dentro e fuori lo stabilimento, nonché l’acquedotto di Alessandria,provocando gravi danni alla salute dei lavoratori e dei cittadini e dell’ambiente agricolo; 5) per aver direttamente somministrato acqua avvelenata a lavoratori e cittadini; 6) per aver omesso di segnalare agli enti pubblici il reale contenuto delle discariche e la reale portata dell’inquinamento sia del sito che delle falde; 7) per aver dolosamente errato e omesso e nascosto alle autorità i dati relativi alla esistenza e alla consistenza delle discariche, allo stato di contaminazione delle falde, alla mancata bonifica.

UDIENZA 9 GIUGNO 2011

Con una dottissima disquisizione gli avvocati della Solvay hanno chiesto al giudice Stefano Moltrasio di spostare il processo per l'inquinamento del polo chimico spinettese (cromo esavalente e altri 20 veleni) da Alessandria a Milano. La pretestuosa motivazione è stata che i giudici alessandrini (tutti, l'intero tribunale della provincia) non sarebbero competenti perchè potrebbero aver consumato l'acqua inquinata e non sarebbero dunque sereni nel giudizio nè per sè nè per i colleghi. Una motivazione priva di logica: siccome la falda inquinata va a finire in Bormida, e il Bormida in Tanaro, e poi in Po, infine in Adriatico, ebbene nessun giudice della pianura padana potrebbe partecipare a questo processo. Il GUP ha respinto la dotta quanto illogica eccezione, che aveva come unico scopo di rinviare il processo fino alle prescrizioni. Dunque il processo si terrà ad Alessandria. L'altra eccezione della difesa (il capo di accusa sarebbe indeterminato) è ancora più risibile. Altro dato positivo dell'udienza del 9 giugno è stata l'accoglienza quali parti civili di Medicina democratica e dei lavoratori/cittadini da essa rappresentati: gli unici a pieno titolo per aver documentato i danni subìti e non ipotetici. Dato curioso: la quantità di merda (responsabilità) scaricata dall'avvocato dell'Arkema sul coimputato Solvay.

UDIENZA 10 GIUGNO 2011

La tattica dilatoria degli imputati. L'Arkema sempre all'attacco. Nel tentativo di scaricare tutte le responsabilità sulla Solvay, l'Arkema ha presentato un pacco di documenti e consulenze costringendo il giudice a spostare la prossima udienza al 27 luglio. In effetti si tratta di elementi già presi in esame nei capi di imputazione e quindi non modificheranno la posizione processuale dell'Arkema. Però tutto è utile agli imputati per rinviare a più non posso il procedimento penale.

UDIENZA 27 LUGLIO 2011

From: "bastamortesullavoro" Subject: Avvelenamento doloso

Spinetta Marengo è un sobborgo della periferia sud di Alessandria; questo quartiere è assurto agli onori delle cronache, qualche tempo fa, perché le acque del fiume Bormida che lo attraversa - ed i terreni ad esso circostanti - sono pesantemente inquinati dal cromo esavalente scaricato dalle industrie del qui stanziato polo chimico, formato dalle seguenti industrie: Ausimont, Atofina-Arkema- Solvay Solexis. Al Palazzo di Giustizia cittadino è in corso di svolgimento - quella di mercoledì 27 luglio è stata l'ultima udienza prima della pausa estiva - il processo che vede imputati, con l'accusa di avvelenamento doloso delle acque, trentotto schifosi personaggi: amministratori delegati, direttori di stabilimento,responsabili ambiente, dirigenti e tecnici che si sono succeduti nel corso del tempo. Le parti civili costituite sono settantadue: settantadue cittadini, che lamentano pesanti danni alla salute provocati dagli sversamenti, e dieci tra enti ed associazioni. L'auspicio è che la vicenda si chiuda celermente con una condanna esemplare - ad anni di meritatissima galera - per i responsabili dell'avvelenamento dell'ambiente. Come pena accessoria, suggerisco di elevare obbligo ai rei di bonificare personalmente, e senza alcun dispositivo di protezione né individuale né collettivo, tutta la zona avvelenata dagli scarichi delle loro industrie. Comprendo bene che ciò configurerebbe una violazione del c.p.  in particolare dell'articolo 437 dello stesso - ma rappresenterebbe un giusto monito ai padroni: devono smetterla di avvelenare la gente per poter fare profitti astronomici.

UDIENZA 26 SETTEMBRE 2011 

All'udienza presso il Tribunale di Alessandria, Giudice per le indagini preliminari, l'avvocato Laura Mara, per conto di Medicina democratica e dei lavoratori/cittadini parti civili rappresentati, ha chiesto il rinvio a giudizio dei 38 imputati Solvay e Arkema in ordine ai reati di avvelenamento doloso e omessa bonifica dolosa del sito chimico di Spinetta Marengo (AL). Clicca qui per leggere l'arringa dell'avvocato Mara.

UDIENZA 30 SETTEMBRE 2011 

Nelle foto si riconoscono Bigini, Fabbio, Rossi, Stirone, Bessone, Molina, Muliere, Robutti, Bocchio. Brindano e se la ridono allegramente. Gli imputati hanno poco da ridere: venerdì 30 settembre devono comparire in tribunale. Qui, ai politici non hanno imputato responsabilità penali, ma per le complicità istituzionali essi dovrebbero nascondersi anziché ridere.

UDIENZA 7 OTTOBRE 2011 

Processo per l’inquinamento del polo chimico di Spinetta Marengo: avvelenamento doloso e dolosa mancata bonifica. Nell’udienza precedente gli imputati Ausimont si sono dichiarati innocenti perché il dolo sarebbe della subentrante Solvay, dal 2002. Nell’udienza del 13 ottobre gli imputati Solvay si dichiareranno innocenti perché il dolo sarebbe della precedente Ausimont, fino al 2002. Nella prossima udienza del 7 ottobre gli imputati Arkema si dichiareranno innocenti perché il dolo sarebbe di Ausimont e Solvay, prima e dopo il 2002. In subordine,tutti assieme sarebbero contenti che il giudice sentenziasse che non è dolo bensì colpa, reato involontario. Meglio ancora: non è colpa di nessuno. Cioè la colpa è dei cittadini e dei lavoratori e dei cittadini che sono morti o si sono ammalati senza alcun motivo. E pretenderebbero anche i risarcimenti. Il più innocente di tutti, secondo i più famosi avvocati italiani, sarebbe Carlo Cogliati, presidente e amministratore delegato Ausimont e Solvay dal 1991 al 2003, il quale non sapeva niente di discariche e inquinamenti cancerogeni, proprio lui che controllava perfino la mobilità di una scrivania da Bollate a Spinetta, proprio lui che ha licenziato Balza e Spinolo per aver denunciato gli inquinamenti.

UDIENZA 13 OTTOBRE 2011

Tutti innocenti. Nelle udienze precedenti i più famosi avvocati italiani * di Ausimont, premesso che tutti i 38 imputati sono innocenti, hanno cercato di dimostrare che se proprio un colpevole ci deve stare, bisogna cercarlo in Solvay che è subentrata ad Ausimont ma non ha fatto la bonifica. Quelli di Solvay, stessa premessa, e stesso scaricabarile su Ausimont: siamo arrivati dopo e non sapevamo niente e non abbiamo nascosto niente ecc.

Nell’udienza del 7/10/11 i più famosi avvocati italiani * di Arkema, premesso che tutti i 38 sono innocenti, hanno sostenuto la tesi che capita di comprare un’auto usata taroccata quando ci si fida del venditore. Di solito invece qualunque acquirente non si fida e fa revisionare la macchina dal proprio meccanico. A maggior ragione qui non si è trattato di un’auto bensì di una fabbrica, una fabbrica chimica addirittura. Dunque se proprio ci deve essere un colpevole bisogna cercarlo nella venditrice Ausimont. O in Solvay, che occupa la maggior parte del polo chimico.

E’ andata invece delusa l’aspettativa di ascoltare l’avvocato difensore di Giorgio Canti. Canti è l’imputato chiave del processo, il tratto di unione fra Ausimont e Solvay, la memoria storica ambientale dello stabilimento, l’uomo che ha nascosto gli scheletri negli armadi (in senso figurato e fisico) prima per Ausimont e poi per Solvay. Se gli avvocati riusciranno a dimostrare la sua estraneità, nessuno degli altri imputati rischierà la condanna. Non sia però trasformato in capro espiatorio perché, pur essendo un esecutore responsabile al massimo livello dirigenziale, resta pur sempre un esecutore di ordini dall’alto.

Anche secondo i capi di imputazione, in tutti gli accertamenti effettuati, Canti ha piena consapevolezza da sempre dei terreni contaminati e dello stato di inquinamento della falda, nonché delle emissioni in atmosfera passate e presenti. La corrispondenza tecnica ambientale occultata, oggetto di sequestro nel processo, passa attraverso di lui. Le operazioni di occultamento precedenti il 2008 (es. 1) e seguenti il 2008 (es. 2) che coinvolgono l’intera struttura gerarchica aziendale fino alla direzione in Belgio, passano attraverso di lui. Partecipa attivamente nell’approntare la linea di difesa con gli altri coimputati e nella selezione accurata delle omissioni e manomissioni (doppie versioni) dei dati e analisi da fornire agli enti pubblici. Con ciò vanificando la procedura stessa di bonifica. Anche per lui l’accusa è di dolo.

(es. 1) Il cromo affiorava nella neve gialla (La Stampa, novembre 2006) e dai muri e dai pavimenti: veniva nascosto sotto manti bituminosi e gettate di cemento.

(es. 1 e 2) Al sopralluogo Arpa, disconosce la discarica di fanghi rossi, benché opportunamente recintata e con lucchetti senza ruggine, nascosta sotto la vegetazione e comprendente 3 pozzi.

(es. 2) Fa preparare due versioni di analisi da scegliere per fornire all’Arpa in merito al pozzo 8, che somministrava acqua inquinata alle utenze dello stabilimento (mensa, uffici, infermeria ecc.).

* Da tutti questi avvocati non abbiamo sentito una parola di doveroso rispetto per le vittime.

UDIENZA 2 NOVEMBRE 2011

La banda fessacchiotti.

Mentre si attende il processo per malattie professionali, stranamente a bagnomaria, è in corso davanti al Giudice dell’udienza preliminare di Alessandria il “processo del secolo” del polo chimico di Spinetta Marengo , impropriamente definito per emergenza cromo.

Ad ascoltare i loro avvocati, che sono i più famosi (e retribuiti) della penisola (che devono percorrere tutta tanti sono i processi in corso) , gli imputati italiani e francesi e belgi di Solvay e Arkema sarebbero una banda di fessacchiotti. Sarebbero stati fregati per ingenuità, sarebbero stati truffati (sic) da Ausimont che avrebbe loro rifilato una fabbrica taroccata nascondendo che era piena come un uovo di inquinanti e doppie contabilità ambientali. Hanno fatto l’esempio di chi compra un’auto taroccata perché si fida del venditore. Ammesso e non concesso che esista qualcuno che compra una macchina con gli occhi bendati, non è assolutamente credibile che un industriale, anzi una multinazionale compri a scatola chiusa, senza meticolose verifiche addirittura una fabbrica, anzi addirittura una fabbrica chimica, anzi un sito oggetto da decenni di clamorose denunce ambientali di ogni tipo (le nostre). Beata ingenuità o cinico profitto? Non è solo un sospetto pensare che Solvay (e prima di lei, Arkema) sapevano benissimo il perché di un prezzo di vendita così stracciato. Il perché di quegli sconti erano infatti le tonnellate di 20 tipi di veleni tossici e cancerogeni (tra cui il cromo esavalente) sepolti sotto e attorno allo stabilimento: da decenni e fino ai giorni nostri. Lo sapevano tutti quelli che vi lavoravano, lo sapevano gli amministratori pubblici e l’opinione pubblica che da decenni Medicina democratica informava con denunce.

Dunque non si tratta di un sospetto. Tanto più che negli atti processuali approntati dalla Procura della Repubblica ci sono le prove che gli imputati, senza soluzione di continuità tra Ausimont e Solvay, non solo sapevano ma hanno fatto di tutto per omettere e manomettere dati e analisi, imbrogliando i già distratti enti pubblici, impedendo così di contenere ed eliminare l’immenso inquinamento. L’hanno fatto consapevolmente, per interesse, dunque per dolo. Infatti l’accusa è di avvelenamento doloso e dolosa mancata bonifica. Eppoi, se ci fosse stata questa presunta truffa: perché Solvay non ha denunciato per truffa Ausimont? Perché i dirigenti Ausimont che nascondevano gli scheletri negli armadi sono rimasti gli stessi in Solvay? Ausimont e Solvay fingono di bisticciare, come facevano i famosi ladri di Pisa.

A sentire gli avvocati Solvay, che parlano solo di cromo e non degli altri 20 veleni, i colpevoli, quelli che seppellivano i depositi industriali e manipolavano i dati, vanno ricercati fuori dall’aula, indietro negli anni, nel secolo scorso, in Montecatini, nei direttori precedenti dell’Ausimont (di cui fanno tanto di nomi, alcuni vivi come Capogrosso e Guarracino, altri morti: Tartuferi). Ma non si tocchino gli imputati: che non sono stati informati dai suddetti direttori, non sapevano, non immaginavano, non hanno omesso e manomesso, non hanno peggiorato la situazione. Anzi, quando hanno saputo (nel 2008!) si sono fatti in quattro, spendendo milioni di euro per pura generosità, per rimediare allo scempio di coloro che li avevano preceduti e contro i quali puntano il dito: industriali, politici, arpa, asl, procure. Insomma, ammettono che ci siano colpevoli… ma non condannabili per prescrizione.

C’è chi si è stupito di non aver sentito dai famosi avvocati neppure una parola di doveroso rispetto per le vittime. Non c’è da stupirsi, fra loro c’è chi ha sostenuto che non ci sono state vittime, l’acqua bevuta e l’aria respirata erano e sono perfette, e se le perizie del Pubblico ministero dicono il contrario, e se tutti i dati epidemiologici e delle parti civili dicono il contrario, sbagliano, o, al massimo, i responsabili vanno ricercati fra le aziende e le persone defunte, e a loro chiesti i risarcimenti e la bonifica, e non alla Solvay. In definitiva chiedono al giudice per tutti gli imputati il non luogo a procedere, perché i fatti non sussistono, o per reati non commessi, o in subordine commessi ma non per dolo ma per ingenua colpa.

UDIENZA 24 NOVEMBRE 2011 

Mentre si sta malamente difendendo nel processo cromo & affini, Solvay continua a scaricare in Bormida PFOA tossico e cancerogeno, senza essere processata. Questa è la foto di una manifestazione del 1990 per la chiusura dell'Anca di Cengio, che avvelenava il fiume Bormida e tutta la sua valle: una lunghissima battaglia vinta solo nel 1999. Nel 2011, dopo le bonifiche e senza che siano ancora stati risarciti i danni ambientali, si parla ancora di un "Piano di azione per la riqualificazione ambientale, sociale ed economica della valle" e di un "Piano operativo dedicato alle prospettive di sviluppo del territorio". Che la storia non si ripeta a Spinetta Marengo.

UDIENZA 16 GENNAIO 2012

Nessuno dei 36 imputati della catastrofe ambientale è stato prosciolto. Il giudice dell’udienza preliminare, Stefano Moltrasio, del tribunale di Alessandria, ha pronunciato “decreto che dispone il giudizio” nei confronti degli imputati Ausimont e subentrante Solvay. Carlo Cogliati, Giulio Tommasi, Francesco Boncoraglio, Bernard De Laguiche, Pierre Jaques Joris, Luigi Guarracino, Giorgio Carimati e Giorgio Canti dovranno comparire come imputati in Corte d’Assise il 18 luglio alle ore 10,30. Sono imputati per due reati: avvelenamento doloso e omessa bonifica. Fino a 15 anni di reclusione, anche l’ergastolo. l principale imputato al “processo del secolo” sarà Carlo Cogliati, presidente e amministratore delegato Ausimont e Solvay dal 1991 al 2003, che licenziò Balza e Spinolo per aver denunciato gli inquinamenti, e per questo già condannato.

Per Stefano Bigini (ultimo direttore Solvay) e i dirigenti Arkema il reato è di omessa bonifica. Fra le parti civili riconosciute sarà attiva al processo Medicina Democratica tramite l’avvocato Laura Mara con i suoi consulenti tutti a titolo gratuito e a patrocinio dei lavoratori e cittadini morti e ammalati per l’inquinamento doloso del polo chimico di Spinetta Marengo. Le fonti di prova sono state: le indagini dei carabinieri del N.O.E., i documenti sequestrati ambientali e medici, le intercettazioni telefoniche e le testimonianze dei dipendenti e dei residenti.

Dunque, negli atti processuali approntati da Riccardo Ghio della procura della Repubblica ci sono le prove che gli imputati, senza soluzione di continuità tra Ausimont e Solvay, non solo seppellivano depositi industriali, non solo sapevano ma hanno fatto di tutto per omettere e manomettere dati e analisi, imbrogliando i già distratti enti pubblici, impedendo così di contenere ed eliminare l’immenso inquinamento della falde acquifere (cromo esavalente e altri 20 veleni tossici e cancerogeni) . L’hanno fatto consapevolmente, per interesse, dunque per dolo. Infatti l’accusa è di avvelenamento doloso e dolosa omessa bonifica.

L’accusa è di dolo: 1) per essere essi stati a conoscenza dell’esistenza di enormi discariche tossiche e cancerogene, illegittime e non autorizzate; 2) per aver omesso la manutenzione della rete idrica dello stabilimento provocando enormi dilavamenti delle sostanze inquinanti; 3) per non aver fatto il necessario per eliminare o solo ridurre l’inquinamento; 4) per aver avvelenato le falde sotterranee dentro e fuori lo stabilimento, nonché l’acquedotto di Alessandria, provocando gravi danni alla salute dei lavoratori e dei cittadini e dell’ambiente agricolo; 5) per aver direttamente somministrato acqua avvelenata a lavoratori e cittadini; 6) per aver omesso di segnalare agli enti pubblici il reale contenuto delle discariche e la reale portata dell’inquinamento sia del sito che delle falde; 7) per aver dolosamente errato e omesso e nascosto alle autorità i dati relativi alla esistenza e alla consistenza delle discariche, allo stato di contaminazione delle falde, alla mancata bonifica. Con l’udienza finale del GUP si è concluso un primo atto di giustizia. Confidiamo nel processo in Corte d’Assisi. Mentre siamo sempre in attesa dell’ altro processo a carico Solvay: per malattie professionali, stranamente a bagnomaria.