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Rassegna Stampa

venerdì 27 novembre 2009

SOLVAY SOLEXIS: I trentotto sotto accusa



Martin Stephan (amministratore Arkema 1995-98)
Massim Alain Barbet (amministratore Arkema 1998-2000)
Bertrad Repellin (amministratore Arkema da 1998-2000)
Ennio Benito Pellino (amministratore Arkerna 1998-99)
Andrè Ladurelli (amministratore Arkema 1998-2001)
Paul Vidalic (amministratore Arkema da 1998-2001)
Joseph Yves Bercy (amministratore Arkema 2001-03)
Jean Marie du Rusquec De L'Estang (amm. Arkema 1998-03)
Benoit George Mare Breyanaert (amm. Arkema 2001-03)
Alberto Salvaderi (amm. Arkema 1999-2004)
Jean Marie Pierre Chanoine (amm. Arkema 2003-04)
Raimond Thierry Lemonnier (amm. Arkema 2003-07)
Marie Yves Henri Dugert (amm. Arkema 2001-07)
Christian Dailly (amm. Arkema 2004-07)
Louvent Saint De Forney (amm.Arkema dal maggio 2007)
Roberto Del Bianco (amm. Arkema e direttore ambiente)
Wulf Sauer (amm. Arkema dal dicembre 2007)
Carlo Scotti (direttore Arkema Spinetta 1995-'96)
Gerard Costes (direttore Arkema Spinetta 1998-2000)
Stefano Barbato (direttore Arkema Spinetta 2001-2003)
Alessandro Fabris (direttore Arkema Spinetta da ottobre 2003)
Maurizio Russo (diret. Ambiente sicurezza Arkema 1995-2000)
Leclere Laques (diret. Ambiente sicurezza Arkema 2001-02)
Francesco Ghilardi (diret. ambiente sicurezza Arkema 2000-06)
Pasquale Relvini (diret. ambiente sicurezza Arkema dal 2006)
Silvano Buzzi (diret. Ambiente sicurezza Arkema 1995-97)
Guido Marcheggiani (diret. Amb. Sicurezza Arkema 2003-07)
Giorgio Consogno (diret. ambiente sicurezza Arkema 1997-'98)
Antonio Brossa (diret. ambiente sicurezza Arkema dal 1998)
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Bernard De Laguiche (ad Solvay Solexis 2003-2005)
Pierre jacques joris (ad Solvay Solexis dal 2005)
Luigi Guarracino (direttore Solvay Spinetta 2003-2007)
Stefano Bigini (direttore Solvay Spinetta dal 2008)
Giorgio Carimati (responsabile ambiente Solvay dal 2004)
Carlo Cogliati (presidente cda e ad Ausimont e Solvay)
Giulio Tommasi (responsabile ambiente per siti Ausimont)
Salvatore Boncoraglio (idem ma per anni diversi)
Giorgio Canti (responsabile ambiente Ausimont e Solvay)


giovedì 26 novembre 2009

NO NUKE CONVEGNO



Il Comitato antinucleare per la Provincia di Alessandria - il Circolo alessandrino per la decrescita felice - l’Associazione Amici di Beppe Grillo vi danno appuntamento domenica 29 novembre 2009 dalle ore 17,00 alle ore 20 presso la sala conferenze dell’Associazione Cultura e sviluppo via Michel - Piazza De Andrè Alessandria (davanti al Politecnico), con Giampiero Godio ingegnere nucleare e responsabile energia per il Piemonte di Legambiente, Maurizio Pallante fondatore e Presidente del Movimento per la decrescita felice e Mario Palazzetti ingegnere energetico.

Clicca qui per la sottoscrizione al ricorso antinucleare

mercoledì 25 novembre 2009

L' ALGOFLON: Il Killer di cui si parla

"il Sindaco di Alessandria ha parlato di 3000 morti. Sarebbero molti di più"


Il gas di Algoflon è subdolo, omicida di morte invisibile, senza odore né sapore. I primi sintomi di intossicazione sono rialzo termico più o meno elevato e affanno respiratorio, tosse stizzosa. Furono i primi, sintomi che nel gennaio 1962 avvertì il povero Giampiero Massa e gli altri due lavoratori che sfuggirono alla morte. Montedison fu condannata dal Tribunale. I primi sintomi possono essere confusi con una banale influenza. Così è stato nel novembre 1980 per il defunto Ezio Terroni. Una confusione tragica perché ricovero ospedaliero e ossigenoterapia con respiratori automatici possono salvare il 30-40% degli intossicati gravi. Ne basta poco di gas respirato per andare all'altro mondo. Due parti per milione. Secondo la perizia medico legale, 52 pagine, un documento impressionante per l'abisso fra analisi e conclusioni. Terroni, nella sala compressori dell'Algoflon, respirò dalle apparecchiature residui di "tetrafluoroetilene"liberati nell'aria a seguito dell'aumento della temperatura. Occorre fare un attimo di attenzione: si sta parlando di un incidente mortale in fase di manutenzione e non di lavorazione. Pochi grammi di tetrafluoroetilene. Un nulla a confronto di decine di quintali di altobollenti. L'ipotesi di catastrofe, una delle ipotesi, riguarda questo tipo di disastro mai verificatosi fino ad ora, di cui purtroppo il calcolo delle probabilità non può essere ridotto a zero. Nel caso di Terroni i periti scrissero che l'inquinamento era stato intenso ma localizzato, in stretta prossimità con le finestrelle del compressore. Ad un palmo di naso. In effetti si trattò di un piccolo incidente. Ben altra cosa sarebbe un evento di disastro. Sempre nel caso di Terroni, è documentato, i periti giudicarono inattendibili i sistemi di controllo ambientali effettuati dall'azienda, che infatti non avevano captato nulla di anormale. Trent'anni fa nel reparto erano allevati canarini e verdoni: quando le bestiole cadevano stecchite era il segnale perché gli operai se la dessero a gambe. Ne parlarono tutti i giornali, è stato scritto in un libro. Dall'epoca del canarino sono stati fatti passi in avanti, non ancora sufficienti. Ancora oggi si cammina troppo lentamente. L'Università di Pavia ha avviato, per la prima volta forse nel mondo, la sperimentazione di rilevatori ambientali affidabili, spille grandi come una moneta. Si tratta di "campionatori" cosiddetti "passivi" che assorbono i gas presenti nell'aria in zona respirazione. Non sostituiscono ma si affiancano ai sistemi tradizionali di rilevamento in funzione. Tutti assieme non danno la garanzia assoluta. Il reparto Algoflon è quindi un impianto super vigilato perché pericoloso, costantemente tenuto sotto controllo perché pericoloso, con le più minuziose precauzioni che la scienza ha saputo finora sperimentare (e come abbiamo visto ancora insufficienti). La sicurezza dell'incolumità dei lavoratori e della popolazione è garantibile attraverso le condizioni perfette dell'impianto e con la sua ineccepibile conduzione. Di ciò, va dato atto, hanno piena coscienza la stragrande maggioranza dei lavoratori del reparto. Le piastrine che si appuntano al petto, si affrettò a calmare gli entusiasmi il direttore della Clinica del lavoro di Pavia professor Capodaglio, anch'esse hanno un limite: non avvertono all'istante il gas (che resta una ipotesi del futuro) ma a posteriori la loro analisi segnala l'accumulo già avvenuto. Il vantaggio delle piastrine rivelatrici, evidenziò Capodaglio, è di ricostruire la storia individuale di ogni lavoratore. Ciò è assai importante perché degli effetti del gas di Algoflon sull'organismo umano non si sa molto. Non si conoscono nemmeno tutte le sostanze che possono manifestarsi nel corso delle lavorazione Non esistono neanche cure specifiche in caso di intossicazione. Lo Sanno bene alcune decine di lavoratori ricoverati per accertamenti. Sembra impossibile eppure è cosi, a trenta anni dalla nascita dell' impianto e mentre se ne sono costruiti di nuovi a fianco. Capodaglio puntò il dito verso i limiti della scienza: la scarsa esperienza ha finora dimostrato che gli intossicati sono assaliti dalla cosiddetta "febbre da polimeri", presentano 'difficoltà di respirazione, nei casi gravi: lesioni ai polmoni con esiti anche mortali. Non si conoscono quali danni derivano ai reni e al fegato, tantomeno gli effetti cronici. Sono necessari studi e ricerche: invocava Capodaglio. Non basterebbe l'interessamento dell'USL (che finora comunque è completamente assente) ma è necessaria la Ricerca ad alto livello. la ricerca, diceva Capodaglio, è ancora ai primi passi, ha pochi mezzi. Occorrono finanziamenti, tanti finanziamenti. Che non ci sono stati. L'Algoflon è un materiale autolubrificante di inusitata resistenza chimica e fisica, un sofisticato risultato della più recente chimica fine che vede Montedison fra i pochi produttori nel mondo. (Per inciso: come prodotto-finito è pericoloso solo in particolarissime condizioni). Viene impiegato per fabbricare componenti di apparecchiature per l'industria chimica, meccanica, automobilistica, aerospaziale, elettrica, elettronica, alimentare e ,anche per produrre articoli da cucina. A sua volta l'Algoflon rappresenta il polo di sviluppo di altre linee produttive, le vie del futuro. Centinaia di miliardi. Quanti spesi per la salute? Pochi. Se si vuole garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e della popolazione occorrono maggiori studi tecnologici e medici, di istituti, centri di ricerca,università. Montedison finora non ha dedicato soldi sufficienti alle ricerche per tutelare la salute, che resta una incognita che preoccupa tutti. Occorrono studi, personale scientifico che si occupi costantemente delle ricerche, lo stimolo delle organizzazioni sindacali, l'intervento delle autorità di governo locale, delle strutture sanitarie pubbliche, l'attenzione continua dell'opinione pubblica. Per finire, il dato più allarmante. Nella nostra città manca ogni tutela contro il grande rischio chimico. La popolazione alessandrina ignora addirittura di essere sotto posta a rischi simili a quelli che hanno sconvolto Bhopal. La municipalità alessandrina, al pari di quella indiana, non conosce i rischi e non ha informato le popolazioni sottoposte. In caso di catastrofe industriale la gente non saprebbe come comportarsi, ne .i mezzi di soccorso come intervenire, ne gli ospedali come curare. Sarebbe il caos. Dai 364 "impianti ad alto rischio" censiti dal Ministero della Sanità 36 dimorano in Piemonte, quarto nella speciale graduatoria delle regioni più pericolose. Appena 23 provincie non accolgono "bombe innescate" sul loro territorio. Fra le rimanenti 72 "città ad alto rischio" Alessandria occupa il non invidiabile 21° posto in classifica, con ben 6 impianti capaci di provocare catastrofe. Nel nostro territorio il più grosso complesso chimico piemontese, in assoluto uno dei più pericolosi della penisola, è ubicato immediatamente a ridosso della città. Follie urbanistiche ereditate da un passato senza cultura ecologica. L'Algoflon, prodotto e stoccato nello stabilimento, è un gas inodore, incolore e insapore, il più subdolo dei gas, uccide senza avvertire, arma chimica "pulita" che toglie solo la vita ma risparmia le cose. Numerosissime sono state le vittime fra i lavoratori per piccolissime fughe di questo gas. Mancando sistemi di allarme esterni alla fabbrica, migliaia di cittadini sarebbero coinvolti nel caso di catastrofe: scoppio degli impianti, dei depositi, caduta aereo, meteoriti ecc. Da "day after" sarebbe l'effetto combinato con una eventuale esplosione dei vicini Perossidi, se si pensa quanto sono stati terrificanti e luttuosi i recenti scoppi che pur si limitarono a piccole parti di quegli impianti. Ma la risposta a questo sconvolgente pericolo c'è, fa parte del mai decollato progetto verde di Osservatorio ambientale della Fraschetta, e si chiama:"piano di sicurezza ed emergenza". Ovvero questo sarebbe il compito degli enti pubblici: prefettura, comune, provincia, Usl. Un'informazione capillare, un sistema di allarme tempestivo, un piano di sgombero sollecito, un programma di soccorsi adeguato, un piano di sicurezza insomma, potrebbe salvare dalla morte o dall'invalidità migliaia di persone come non è avvenuto in India, o a Città del Messico o a Seveso. Ad Alessandria non si conosce che esista un piano di emergenza per catastrofe industriale. Le responsabilità vanno ricercate fra governo e enti locali.

Così quasi trent'anni fa scriveva un rappresentante sindacale, non un sindacalista qualunque ma quello più in vista, Lino Balza. Il documento non fu mai contestato dall'azienda.

Al processo Terroni i sindacati, poi, ritirarono la parte civile contro Montedison.« Avete venduto il morto» denunciò Balza (a questo punto ex rappresentante sindacale) con una scandalizzata requisitoria pubblica. Seguì immediata la sua cassa integrazione (avallata dai sindacati e annullata infine dalla Magistratura): la prima delle rappresaglie culminate con il licenziamento (tutte annullate dai giudici).

venerdì 20 novembre 2009

SOGIN: Sarà una udienza decisiva


“”Il decreto 27.11.2008 del Ministero dello Sviluppo economico è illegittimo perché, in contrasto con il decreto legge 17/3/95 n. 230, non prevede la definitiva bonifica del sito di Bosco Marengo, il suo rilascio privo di vincoli di natura radiologica, in quanto non prevede il conferimento in ottemperanza alla legge 314 dei rifiuti al Deposito nazionale: inesistente, neppure individuato.
Dunque i materiali radioattivi già presenti a Bosco, insieme a quelli derivanti dallo smantellamento dell’impianto, verrebbero immobilizzati all’interno di locali assolutamente inidonei, ipotesi che una Valutazione di impatto ambientale escluderebbe, e rappresenterebbero un ulteriore e ingiustificato gravissimo pericolo per l’ambiente e per la salute di Bosco Marengo e Alessandria (ex articolo 32 della Costituzione). “”



“”Il decreto D.M. 2/12/2004 dispone che SOGIN debba provvedere alla disattivazione dell'impianto di Bosco Marengo solo dopo aver realizzato il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e condizionatamente alla realizzazione di tale deposito (SOGIN deve infatti “provvedere alla disattivazione accelerata di tutte le centrali e altri reattori nucleari, e degli impianti del ciclo del combustibile nucleare dismessi entro venti anni, procedendo direttamente allo smantellamento fino al rilascio incondizionato dei siti ove sono ubicati gli impianti. Il perseguimento di questo obiettivo e i tempi sono condizionati dalla localizzazione e realizzazione in tempo utile del deposito nazionale provvisorio o definitivo dei rifiuti radioattivi”). “”

“”Lo stoccaggio (anche provvisorio) di rifiuti radioattivi di qualunque categoria deve essere effettuato, fino alla realizzazione del Deposito nazionale, in siti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio (come previsto dall'art. 3, comma 1 bis, richiamato dall'art. 1, comma 99, della L. 239/04), in ragione delle accertate caratteristiche geomorfologiche del terreno e in relazione alle condizioni antropiche del territorio (come previsto dall'art. 1 del D.L. 314/2003, richiamato dall'art. 3, comma 1 bis, del medesimo D.L.). “”


“”La VIA, era (ed è) strettamente indispensabile essendo in progetto la realizzazione di un impianto per il trattamento e lo stoccaggio di rifiuti radioattivi (previsto per un tempo indeterminato e comunque superiore a 10 anni) in un sito la cui idoneità non è stata valutata né comparata con altri siti; la VIA è altresì strettamente necessaria nel caso di specie per consentire la preventiva verifica degli effetti degli sversamenti autorizzati e per confrontare le opzioni alternative alle modalità di dismissione autorizzate (ivi compresa l'opzione di smantellamento con “immissioni 0” ed in unica fase). “”

“”SOGIN oltre ad aver stipulato il contratto d'appalto per la realizzazione della fase I della dismissione in questione (con le relative specifiche tecniche) prima di aver ottenuto l'autorizzazione dal Ministero, ha pure iniziato i lavori in questione senza attendere le approvazioni che l'ISPRA deve necessariamente rendere sugli elaborati progettuali tutti: è escluso che i lavori in questione siano stati legittimamente intrapresi e che si stiano svolgendo in sicurezza, perché non è comprovato agli atti di causa che è stata effettuata la preventiva verifica da parte dei competenti organi tecnici e consultivi dell’amministrazione resistente dei relativi “progetti (che) dimostrano la rispondenza ai fini della sicurezza nucleare e della protezione sanitaria”, come prescritto dal predetto art. 41 del d.lgs. n. 230/1995. “”


Sarà una udienza decisiva, previa verificazione tecnica, quella del 17 dicembre davanti al Tar Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, per il nostro ricorso contro Ministero dello sviluppo economico, SOGIN Società Gestione Impianti Nucleari e ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, per l’annullamento, previa sospensione, del decreto ministeriale che, in alternativa al deposito nazionale ultrasicuro per millenni, autorizza contro legge a Bosco Marengo (Alessandria) la costruzione, già di per sé rischiosa per lavoratori e territorio, di un insicuro deposito di scorie nucleari da stoccarsi pericolosamente (attentati, terremoto, falde acquifere ecc.) almeno fino al 2020 secondo la Regione e secondo la Sogin per un periodo del tutto indeterminato. Senza ipocrisie: sarebbe un deposito definitivo. Dove tombare centinaia di fusti radioattivi vecchi e nuovi. In un sito assolutamente inidoneo neppure per uno stoccaggio temporaneo: sia per le condizioni antropiche del territorio (densità popolazione) sia per le caratteristiche geomorfologiche del terreno (sismico, con falde), come dimostrerebbero agevolmente le (omesse) indagini geotecniche e il (mancato) assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale VIA.
La pronuncia del Tar diventerà un precedente con enorme valenza per tutto il territorio nazionale. Se a noi favorevole, ad essa si potranno appellare tutti i siti italiani che hanno ereditato i rifiuti nucleari delle centrali dismesse. Soprattutto la sentenza del Tar metterà in discussione l’intera strategia nucleare del Governo, come affermato dallo stesso.
Il ricorso al Tar Piemonte era stato presentato nell’aprile scorso, tramite l’avvocato Mattia Crucioli, da parte di Medicina democratica, Comitati, Legambiente, Pronatura e tre consiglieri regionali (Deambrogio, Comella, Moriconi), poi sostenuto da una entusiasmante sottoscrizione popolare, con l’aiuto di Beppe Grillo, senza alcuna partecipazione dei Comuni, anzi, avendo attivamente contro il Comune di Bosco Marengo, la Provincia di Alessandria e la Regione Piemonte. Addirittura il Governo ha mandato in campo l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con l’intimidazione che se viene accolto il nostro ricorso… gli utenti dovranno sopportare maggiori costi.
Contro il ricorso la Sogin, cioè il Governo, si era opposta con una infinità di pretesti e cavilli in tutte le sedi, ma subendo ben due sentenze del Tar e una del Consiglio di Stato. Il tentativo della Sogin, con uno stuolo di avvocati famosi e super pagati, era di scippare, di spostare la sede processuale da Torino a Roma, sede ritenuta vicina alla propria sfera di influenza, e comunque di rinviare in continuazione la sentenza definitiva. Né va sottovalutato il tentativo di “prenderci per fame” così dilatando i costi del procedimento, disegno rintuzzato dalla eccezionale sottoscrizione popolare. Tale strategia, malgrado le ipotesi di reato presentate nell’esposto di Medicina democratica alla Procura della Repubblica di Alessandria, ha però consentito alla Sogin di avviare i lavori di smantellamento dell’impianto nucleare di Bosco Marengo, di trattamento-condizionamento-stoccaggio di materiali radioattivi, con sversamento degli stessi nell’ambiente sia sotto forma di effluenti liquidi (l’esondabile rio Lovassina) sia di effluenti aeriformi, con gravissimo pericolo per il territorio circostante e per l’incolumità della salute pubblica delle generazioni presenti e future. Lavori illegittimi, senza VIA e addirittura privi delle prescritte preventive approvazioni ISPRA, iniziati perfino tramite un contratto di appalto precedente la contestata autorizzazione ministeriale; dunque lavori carenti in sicurezza nucleare e protezione sanitaria. Lavori che chiediamo siano immediatamente sospesi: l’impianto di Bosco deve essere mantenuto in “custodia protettiva passiva”, alla quale per legge è obbligata la Sogin, in sicurezza come è avvenuto finora, in attesa dell’individuazione dell’idoneo deposito nazionale previsto dalla legge dove confluire le scorie di Alessandria e degli alti impianti italiani, cioè con il rilascio del sito esente da vincoli di natura radiologica, prato verde, senza deposito.
In definitiva, mentre il Parlamento approvava il rilancio governativo del nucleare in Italia, l’obbiettivo nazionale tanto del ricorso al Tar che dell’esposto alla Procura era triplice: affermare in nome di tutti gli ex siti nucleari l’illegalità dello smantellamento degli impianti per trasformarli in depositi definiti “temporanei” “a tempo indeterminato”, cioè definitivi, nonché rivendicare invece la realizzazione -prevista dalla legge- di un deposito nazionale ultrasicuro per millenni, e infine affermare inequivocabilmente l’assurdità di proporre nuove centrali nucleari senza aver neppure risolto l’eredità delle vecchie.

Clicca qui per sapere come aiutarci in questa battaglia

mercoledì 18 novembre 2009

La Solvay abbia il coraggio di venire ad un confronto pubblico


Quasi in concomitanza si sono svolti due eventi con lo stesso contenuto: la crisi del polo chimico di Spinetta Marengo. Uno è stato l’adunata dei dipendenti della Solvay da parte del direttore, senza contraddittorio in quanto non siamo stati invitati. L’altro è stato la conferenza stampa di Medicina democratica con il Comitato spinettese, senza contraddittorio in quanto l’azienda belga, pur informata, non ha partecipato. Ebbene, proponiamo alla Solvay il coraggio di presentarsi in confronto pubblico, fifty fifty, affinché l’opinione pubblica giudichi in contraddittorio la trasparenza delle rispettive posizioni.
Se accetterà, ci sembra corretto anticipare che in quella occasione vorremo chiedere ai medici di fabbrica perché si è ritenuto per decenni di non informare i lavoratori che il PFOA misurato nel loro sangue poteva essere un pericolo, che gli studi internazionali stavano dimostrando che le cavie muoiono e i pesci cambiano sesso, che era in corso nel mondo la sua messa al bando. Una informazione doverosa affinché ciascun lavoratore potesse regolarsi di conseguenza e scegliere, lui e non gli altri per lui, se continuare a sottoporsi a questo rischio per la propria salute, come una cavia di laboratorio. Non dimentichiamo che alcuni lavoratori sono stati licenziati dopo essersi opposti ad operare con l’esposizione a se stessi e al territorio. Alla stessa domanda potranno rispondere le rappresentanze sindacali aziendali, dalle quali il direttore potrebbe farsi accompagnare. Il PFOA non esiste in natura. Non è fissato nessun limite di legge al PFOA nel sangue per il semplice motivo che non può essere che limite zero. A zero deve essere ridotta la contaminazione, oggi, e non rinviata al 2012 o 2015. Di questo deve rendersi conto la Magistratura.
Al confronto pubblico potranno, noi proponiamo, intervenire i sindacati provinciali e nazionali, sia quelli che sono sulle posizioni dell’azienda, sia quelli sulle nostre ragioni che respingono il ricatto occupazionale e puntano alla vera salvaguardia dei posti di lavoro. In particolare sapremmo così se al processo penale (38 indagati per avvelenamento doloso e mancata bonifica) i sindacati, almeno quelli che dichiarano gravi preoccupazioni per la salute dei lavoratori e dei cittadini, parteciperanno come parti civili al fine di assicurare ai lavoratori il risarcimento dei danni, come noi stiamo facendo. In quella sede apprezzeremmo la disponibilità dell’azienda a fornire i dati d’archivio utili per una cinquantennale indagine epidemiologica che, insieme all’Osservatorio ambientale della Fraschetta, da 30 anni rivendichiamo sotto diretto controllo popolare.
Proponiamo alla Solvay una intera giornata di lavoro, in modo che uno spazio venga riservato agli amministratori pubblici, sia quelli che, come l’azienda, sono favorevoli al piano Amag di depurare le falde inquinate con o senza chilometri di muretti di contenimento, sia quelli che cominciano a dubitare che tale progetto serva solo da sciacquatura inefficace e sulle tasche dei cittadini contribuenti, sia quelli che, come noi, chiedono una bonifica dello stabilimento, cioè l’eliminazione dei 500 milioni di metri cubi di cromo esavalente e veleni sotterrati, a spese della Solvay naturalmente. Il coraggio di presentarci a questo confronto pubblico, noi lo dichiariamo. Anche di affrontare il nodo della dimensione dell’evento di catastrofe industriale che secondo il sindaco potrebbe causa 3.000 morti ma, secondo noi, molti molti di più.
MEDICINA DEMOCRATICA SEZIONE DI ALESSANDRIA E PROVINCIA


Due parole su PFOA, cromo e altri veleni di Spinetta Marengo. Leggevo sempre il segretario Cisl che parlava a nome degli altri sindacati chimici, silenti, e parlava del Pfoa tranquillizzando, quasi come un benefico ricostituente nel sangue dei lavoratori, benché uccida le cavie e cambi sesso ai pesci. Finalmente leggo il comunicato della Camera del lavoro. Leggo: “siamo di fronte ad una situazione eccezionale e grave”, “gravi interrogativi sulla salute dei lavoratori e dei cittadini”, “la Solvay deve assumersi le responsabilità che le competono, smentire inequivocabilmente il rischio chiusura o declino”, “è l’azienda che deve rispondere”, e “non caricare i lavoratori, che fanno ciò che la dirigenza chiede, del dovere di difendere la loro professionalità e correttezza”, invece “l’azienda sta mettendo in atto pressioni psicologiche sui dipendenti mentre aleggia una persistente minaccia sui destini dello stabilimento” (il riferimento è alla convocazione della Solvay ai lavoratori come fosse una adunata in caserma, e ai volantini sparsi da mani anonime).
Sono un iscritto alla CGIL da quasi quaranta anni, e non sempre mi sono trovato d’accordo, soprattutto come abitante della Fraschetta. Questa volta sì.
Lettera firmata.

Scrive il consigliere comunale Mario Bocchio:
"Richiesta di risarcimento da parte della famiglia di un ex operaio della Montecatini (poi Ausimont, ora Solvay Solexis) di Spinetta Marengo, morto a causa di un tumore nel 2005. Si tratta della famiglia del Sig. Vincenzo Pacilli, che è seguita da Luigi Negro, il quale, attraverso uno studio statistico, ha portato alla luce tutti i casi di morti “sospette”, dal 1996 ad oggi, avvenute nelle vicinanze del polo chimico o agli ex dipendenti. In tutta la provincia di Alessandria, senza contare i casi legati all'amianto, si conterebbero 591 casi con diagnosi istologica di mesotelioma pleurico e 76 casi di mesotelioma peritoneale, patologie legate, entrambe, agli effetti del cromo esavalente. Fra le persone colpite dal cancro ai polmoni, all’addome e alla vescica c'è anche un numero elevato di ex operai della ex Montecatini che per anni hanno lavorato nei reparti dove si produceva titanio in polvere, utilizzando acido fluoridrico e acido solforico, altamente tossici. Il reparto con più morti è sicuramente quello dell'Algoflon, dove operavano centinaia di operai per la produzione del polimero del tetrafluoroetilene - Negli anni ‘70-‘80 sono state almeno sette le vittime del mesotelioma pleurico. Altri operai sarebbero in cura presso il reparto di pneumologia dell’ospedale di Alessandria."



venerdì 13 novembre 2009

POLEMICA DI MEDICINA DEMOCRATICA



Riproponiamo una vecchia mail di Lino Balza per l'attualità dei contenuti.


Ho lanciato un allarme sui rischi del polo chimico di Spinetta Marengo (Alessandria) ma i giornali non l’hanno pubblicato, convinti che non è loro compito concorrere a prevenire i disastri semmai di fare poi, quando i buoi sono scappati, titoloni indignati e moraleggianti su disgrazie e morti. In compenso, ho trasmesso l’intervento via internet ad alcune migliaia di persone. Così Mauro Gambetta, sindacalista CGIL, mi ha replicato con veemenza sostenendo che la Solvay di Spinetta non è una bomba ma una bomboniera, e chiedendomi una risposta. Che non può che essere al fulmicotone.
Per coloro che vogliono farsi un’idea propria sull’azienda ad alto rischio della Fraschetta, qui di seguito riproduco in sequenza:
1) Il mio allarmato intervento
2) La replica di Gambetta
3) La risposta di Medicina democratica al sindacato

1) L’INTERVENTO DI LINO BALZA

E’ un fatto strano che da quando sono uscito dalla fabbrica Solvay (ex Montefluos-Montedison) non è successo più nulla di allarmante. Prima i giornali parlavano di incidenti, fughe di gas, spighe di grano vuote, criticità continue degli stabilimenti chimici di Spinetta Marengo (c’è anche la contigua Arkema, già con due esplosioni mortali ai Perossidi). Ora intervistano direttori e sindacalisti entusiasti dei livelli di profitti e di soddisfazione dei dipendenti. Colpa dei giornali che nascondono le magagne? Non credo. Quando facevano titoloni a piena pagina i motivi c’erano: c’era chi li informava del notturno o festivo scarico di veleni in Bormida o su Castelceriolo che ARPA e ASL ignoravano, con le foto dei bidoni nascosti, degli sversamenti; c’era chi faceva scioperi della fame, incatenamenti, processi su processi per difendersi dalle rappresaglie per aver svelato questi attentati all’ambiente e alla salute. I giornali registravano tutto, le televisioni mostravano.
E i motivi, ora, ci sono per il silenzio. O veramente non succede più niente di nocivo perchè la fabbrica è diventata un salotto, sana e sicura. Ne dubito, non mi vanto il merito di aver imposto con quelle azioni clamorose miliardi di investimenti ambientali che l’abbiano resa addirittura perfetta. Più sicura, sì, ma non perfetta. Oppure il motivo è che in fabbrica vige la paura e l’omertà. In effetti, sparita la vecchia guardia, non ricevo più informazioni riservate, semmai richieste di aiuto e consiglio per controversie individuali. Difficile sapere in tempo reale cosa succede in fabbrica. Non si espone più nessuno, i sindacati non contano niente, anzi, svolgono un ruolo speculare alle direzioni.
Sono anch’io molto preoccupato, come Giuseppe Parola. Perché, se nessuno dopo di me fa più sentire il fiato sul collo a Solvay e Arkema, i rischi sono veramente grossi. Non è una fabbrica dove avvengono tanti infortuni in quanto la meccanica è ridotta al minimo (e scaricata sugli appalti), è invece uno stabilimento ad alto rischio chimico, dove gli incidenti possono determinare una rilevanza terribile su territorio e popolazione: ne basta uno per cancellarci.
Per trenta anni ho dedicato dossier, denunciato, scritto fino alla nausea di catastrofe industriale possibile, di piani di sicurezza ed emergenza inadeguati, di record di tassi per mortalità e malattie, di insufficienti controlli pubblici e indagini epidemiologiche storiche, e soprattutto dell’Osservatorio ambientale della Fraschetta come unica garanzia autogestita della popolazione per controllare il rischio. Come hanno risposto i politici? Con un finto Osservatorio e con il progetto Linfa per la compiacenza di pseudo ambientalisti, cioè con sprechi di denaro pubblico in operazioni di mera facciata, fumo negli occhi, musica alle orecchie di chi non vuole ascoltare. Sono molto preoccupato. Spero di sbagliarmi una buona volta.
Lino Balza – Medicina democratica

2) LA REPLICA DI GAMBETTA (RSU e RLS Solvay Solexis)

Bene. E' un piacere rilevare che quando uno, anche rispettabile, non sa cosa dire e non conosce le situazioni, la butta li, spara nel mucchio per vedere che cosa succede. Tacere non sia mai e informarsi è troppo faticoso anche per chi, avendo vissuto anni in fabbrica sa perfettamente quale numero telefonico chiamare per avere notizie di prima mano. E' troppo farsi venire il dubbio che dopo, la sua "buonuscita", azienda e oo.ss. si siano impegnati con idee soldi risorse per eliminare o ridurre ai minimi termini ogni possibilità di evento accidentale che abbia attinenza con un'industria chimica? Se una multinazionale belga, particolarmente oculata nel gestire il denaro, decide di investire centinaia di migliaia di euro in un sito (anziché spendere un decimo e produrre in Cina) è perché ha assolute garanzie che tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto. E questo, aggiungo io, grazie magari anche all'impegno di tutti coloro che lavorano in questa fabbrica, dal personale di produzione, ai tecnici, ai quadri, ai responsabili aziendali per la sicurezza, agli attuali RLS-RSU, e certamente anche grazie alle lotte dei sindacalisti della "vecchia guardia". Ma Balza non può scrivere che "è difficile sapere in tempo reale cosa succede in fabbrica" stando su un cippo come un eremita e aspettando che siano gli altri ad andarlo a cercare, quando sa benissimo che compilando il numero interno 5302 può comunicare con il "consiglio di fabbrica" e parlare con un delegato sindacale. Ma lui sostiene, e questo non gli fa certamente onore perche non sa e parla anzi accusa, che i delegati sindacali all'interno dello stabilimento (ma di conseguenza anche le organizzazioni sindacali di categoria alessandrine) non contino niente anzi, siano succubi alla direzione e quindi non meritino una telefonata per confermare o smentire quello che lui ritiene o che gli imboccano quei pochi che ancora si rivolgono a lui per "aiuti e consigli" in merito a controversie individuali. Se si fanno delle accuse (contro l'azienda, gli istituti, i delegati sindacali), vanno fatte con ragione di causa e motivate, altrimenti è aria fritta che, ripeto, non fa onore a chi alza la bandiera dell'integrità e della salute. Attendo risposte.
Mauro Gambetta RLS e delegato FILCEM-CGIL Solvay Solexis - Spinetta Marengo

3) LA RISPOSTA DI MEDICINA DEMOCRATICA AL SINDACATO

Quella replica è firmata “Mauro Gambetta”, ma potrebbe essere firmata dalla Solvay o, se preferite, da Veltroni. Secondo loro, non esistono più lavoratori e padroni, pardon: imprenditori, con interessi contrapposti. Gli uni tesi al massimo profitto e a risparmiare su sicurezza e salute, gli altri sfruttati nel salario e nella sicurezza-salute. No, dice Gambetta/Solvay/Veltroni, non c’è più conflitto: noi, attenzione a quel “noi”, noi azienda e sindacati ci siamo impegnati con idee e soldi per eliminare o ridurre ai minimi termini ogni possibilità di inquinamenti e rischi sanitari. Siamo tutti sulla stessa solida barca, tutti una bella e felice famiglia. Spinetta Marengo non è più una bomba, oggi è una bomboniera. Ve lo garantiamo noi Gambetta/Solvay/Veltroni. “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”
Noi. “Noi” una volta voleva dire cogestione, termine e pratica aborriti dal sindacato, in primo luogo dalla CGIL (Gambetta è CGIL!). Ma cogestione vorrebbe dire quanto meno la presenza di un sindacato forte, autorevole, rappresentativo, responsabile. Chiunque vive in fabbrica (Solvay) sa invece che il sindacato non conta nulla, chi decide è sempre e solo la direzione, il capo del personale fa il bello e il cattivo tempo.
Non esiste più un consiglio di fabbrica che, creando partecipazione, rappresentava veramente i lavoratori (partecipavano alle riunioni fino a 60 delegati di gruppo omogeneo in rappresentanza non solo dei chimici ma anche degli edili, dei metalmeccanici, del commercio, cioè dei lavoratori degli appalti, con pari dignità). Oggi esistono le RSU: piccole oligarchie condizionate e ricattabili dalla direzione, che hanno inventato perfino la figura del leader, impersonata magari da individui che ai tempi del Consiglio di fabbrica erano imboscati o ultima ruota del carro.
Non esiste più la democrazia in fabbrica, la forza dei lavoratori che faceva forte il sindacato, in grado di produrre conflitto e obbligare l’azienda a spendere (le assemblee dei giornalieri erano partecipate da un numero di lavoratori che la mensa non riusciva a contenerli, al punto da aprire la seconda parte della mensa, con tanto di presenza di giornalisti e telecamere; le assemblee dei turnisti si tenevano in mensa, non in una stanzetta). Oggi alle assemblee non ci va più nessuno, tanto non decidono niente.
Non esiste più la partecipazione dei lavoratori, la non delega, l’elaborazione dal basso, la costruzione di rivendicazioni basate sul sapere diffuso (nel ’78, solo per fare un esempio, quasi 100 assemblee di gruppo omogeneo prepararono una piattaforma composta di un migliaio di rivendicazioni ambientali piccole e grandi che, dopo giorni e giorni di trattative e scioperi -e scioperi!- si concluse con un accordo alto come un vocabolario; accordo che nei mesi seguenti i lavoratori, direttamente, protagonisti, secondo il principio della non delega, controllavano nell’attuazione degli impegni. Oggi esistono i RLS (responsabili sindacali della sicurezza) che dialogano solitariamente condizionati e ricattabili dalla direzione.
Avendo escluso completamente la partecipazione, non esiste più l’apporto professionale di tecnici e operai alle competenze sindacali (apporto che consentì, ad esempio, l’elaborazione di un vero e proprio segmento di piano di settore della chimica italiana -la famosa piattaforma dei 5 consigli di fabbrica- che arrivò fino a Bruxelles; apporto che consentiva al sindacato di costruire a Spinetta convegni nazionali sulla ricerca, allo svolgimento dei quali partecipavano tutti, sottolineo tutti, i lavoratori). Oggi esistono RSU e RSL: è tutto detto.
Non esistono più le Brigate rosse, che sconfiggemmo grazie alla partecipazione dei lavoratori. Oggi non esistono più le BR, che non servono nemmeno più ai padroni.
Abbiamo ricordato il passato quando i capi del personale dell’epoca erano più a sinistra di certi sindacalisti di oggi. Abbiamo ricordato il passato non per nostalgia o autocelebrazione, perché anche allora era dura e le sconfitte sindacali sono state cocenti, a cominciare dagli anni ’80. L’abbiamo ricordato per rimarcare che il presente sindacale è assai più difficile e brutto: il sindacato è sempre più debole e molle, le condizioni dei lavoratori arretrano sempre più, un circolo vizioso. Il sindacato è più impegnato a sostenere il PD (ex centrosinistra) che a difendere i lavoratori, non ha difeso il potere d’acquisto e i posti di lavoro, né la qualità del lavoro, né la sicurezza sul posto di lavoro, né l’ambiente sul territorio. C’è sempre più gente che fa fatica ad arrivare a fine mese, c’è sempre più precariato, più paura, più soggezione, più sfiducia. Le condizioni dei lavoratori sono progressivamente peggiorate, padronato & politici si stanno rimangiando tutte le conquiste operaie. La classe si frantuma, fabbrica si corporativizza (chi avrebbe immaginato la crescita di fascisti e leghisti in mezzo agli operai?).
Ebbene, in questo contesto sociale e sindacale, Gambetta/De Laguiche/Veltroni ci viene a raccontare che la belga Solvay (arcinota per i disastri di Rosignano) è sbarcata a Spinetta come babbo natale che dispensa soldi e carezze ai lavoratori, è il filantropo che riduce i profitti a favore delle popolazioni a rischio. E chi è che garantisce (per telefono, al 5302) questo bengodi? Il carneade Mauro Gambetta. Il quale ha il coraggio di scrivere: “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”. Una affermazione enorme, irresponsabile, da parte di un sindacato, in qualunque epoca e contesto. La Solvay era ed è certificata a livello nazionale azienda ad alto rischio, con lavorazioni pericolosissime, a rischio di catastrofe industriale, con produzioni che possono cancellare la vita di Alessandria, in un territorio con il record di malattie e morti per cancro. Così come riportato perfino nelle Mozioni votate all’unanimità dal consiglio comunale.
Perché mai dovremmo credere a Gambetta/Guarracino/Veltroni? Perché dovremmo telefonare al 5302 per sapere che tutto va bene madama la marchesa?
Sono poi Gambetta/Solvay/Veltroni che devono fornire le garanzie ai lavoratori e ai cittadini? Non sono loro. Dovrebbero essere le istituzioni pubbliche: ARPA, ASL, Prefetto, Comune, Provincia, Regione. Nessuna di queste ha mai avuto la spudoratezza di pronunciare l’affermazione di Gambetta: “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”. Nessuno di loro. Allo stesso tempo nessuno di loro ha svolto il proprio compito fino in fondo.
Chi dunque dovrebbe dare le garanzie? L’unico strumento di garanzia sarebbe l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, come avevamo dettagliatamente proposto e sollecitato per decenni. Tramite l’Osservatorio ( quello vero, non quello finto che forse sulla carta risulta) con l’autogestione i cittadini sarebbero in grado di controllare direttamente i fattori di rischio, non delegando ma avendo a servizio gli enti pubblici.
Un sindacato responsabile e onesto dovrebbe essere il primo a sostenere, anzi a rivendicare il vero democratico Osservatorio. Il quale, invece delle incredibili rassicurazioni di Gambetta/Solvay/Veltroni, sarebbe in grado di pretendere dagli enti pubblici e di fornire ai cittadini i dati reali delle emissioni in atmosfera/acqua/suolo, i dati reali su malattie/morti dei lavoratori e dei cittadini, le reali misure necessarie per l’allarme, l’evacuazione e l’assistenza di migliaia di cittadini colpiti dal possibile evento catastrofico. Invece di adempiere a questo dovere morale, il sindacato -non solo disinformato e incompetente- nelle parole di Gambetta da addirittura adito a ritenere che nasconde le magagne dell’azienda.
Sì, è vero, come scrive Gambetta, è convinzione generale (basta interrogare qualunque lavoratore in attività o in pensione) che “i delegati sindacali all'interno dello stabilimento (ma di conseguenza anche le organizzazioni sindacali di categoria alessandrine) non contino niente anzi, siano succubi alla direzione”.
Le RSU attuali, eliminato il Consiglio di fabbrica, ricordano le RSA, le Commissioni interne prima del ’68. Quando c’era un gruppetto di “sindacalisti” che l’azienda manteneva distaccata dai posti di lavoro, a bighellonare o gestire la mensa, il dopolavoro o la cassa mutua, a controllare la distribuzione di tute e scarpe, a facezie del genere, piccoli favori, clientelismo spicciolo, “sindacalisti” buoni, collaborativi, consapevoli che se avessero trasgredito la direzione li avrebbe rimandati a lavorare. (Era convinzione generale che alcuni sindacati e sindacalisti fossero a libro paga. Ma probabilmente non ce n’era bisogno: per quel che valevano si accontentavano di privilegi e clientelismo).
Dispiace dire queste cose a chi è in buona fede: è un sindacato che fa comodo all’azienda, la sua attuale connotazione serve all’azienda perché è speculare all’azienda, è la stessa immagine dell’azienda riflessa allo specchio. Un sindacato che serve per tenere ferme le maestranze ammesso che ritrovino un briciolo di ribellione, che serve soprattutto ad una impresa chimica ad alto rischio per dare l’immagine di una fabbrica che non da nessuna preoccupazione ad una città che dovrebbe essere distante chilometri e chilometri.
L’involuzione sindacale è iniziata tanti anni fa. C’è tutto nel mio enorme archivio. Ricordiamo lo scontro clamoroso tra la Cellula del PCI e il sindacato in merito al reparto Pigmenti: i comunisti che chiedevano la chiusura dell’impianto perché accertato cancerogeno mentre i sindacalisti -per soddisfare le esigenze produttive dell’azienda- obbligarono i lavoratori ancora per anni ad ammalarsi e a morire.
O ricordiamo la complicità sindacale ad espellere dalla fabbrica i soggetti più deboli: invalidi, malati e anziani.
L’elenco sarebbe ancora lungo. Tutto è documentato.
Sì, la subordinazione culturale e politica del sindacato non è recente, così la sua azione speculare alla direzione. Entrambi occultavano ai lavoratori e all’opinione pubblica l’avvelenamento del territorio dovuto alla fase di riconversione produttiva, al taglio drastico delle manutenzioni e degli organici, alla terziarizzazione, insomma come sempre alla cosiddetta ottimizzazione dei profitti.
Lino Balza ha conosciuto sulla pelle questa alleanza sindacalpadronale quando, avendo mobilitato l’opinione pubblica sui misfatti ambientali con continue denunce in prima pagina sui giornali, si trovò ad affrontare una exaltation di rappresaglie aziendali avallate, quando non addirittura sottoscritte, da un sindacalismo di fabbrica ormai ridotto al servilismo, all’opportunismo, alla corruzione (le eccezioni sono sempre individuali).
Balza ha ingaggiato con Montedison querele, esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, titoli su titoli in giornali e TV; ventitrè udienze in tribunale, sette cause in pretura, quattro in appello, due in cassazione, tutte concluse felicemente ma piene di sofferenze: cassa integrazione, tre trasferimenti, mobbing, anni di dequalificazione professionale, di inattività assoluta, oltre ad uno stillicidio di tentati provvedimenti disciplinari e vertenze minori e, dulcis in fundo, licenziamento.
(Balza non ha usato i legali della CGIL ma ha pagato l’avvocato di tasca propria, anche se ci tiene a precisare che è sempre stato (ed è) iscritto alla CGIL, per un ideale novecentesco che non corrisponde assolutamente con la realtà attuale).In conclusione: questa involuzione sindacale, che i lavoratori e i pensionati conoscono bene sulla loro pelle, oggi tocca il fondo con il “noi” di Mauro Gambetta (non c’è mai un limite in basso). Rispondiamo: di “voi” ci fidiamo meno di prima.

giovedì 12 novembre 2009

RICORSO ANTINUCLEARE: Dobbiamo Arrenderci?



La SOGIN (Società gestione impianti nucleari), vale a dire il governo, sta tentando di prenderci per fame. Abbiamo presentato il ricorso al TAR del Piemonte ad aprile 2009 per bloccare la costruzione a Bosco Marengo (Alessandria) del deposito di scorie radioattive definito “provvisorio a tempo indeterminato” cioè definitivo, ricorso che vuole creare un precedente legale utile per tutte le popolazioni dei siti ex nucleari italiani (candidati privilegiati per le nuove centrali), dunque ricorso come diga contro il rilancio del nucleare in Italia che ci vogliono ancora imporre senza neppure aver risolto le eredità del passato: le scorie da custodire per millenni al riparo da terremoti,attentati, alluvioni, inabissamenti.
Da aprile, l’abilità dei loro strapagati avvocati e l’italica farragine della giustizia hanno fatto sì che, di udienza in udienza, la sentenza definitiva è stata fatta slittare al 17 dicembre prossimo.
Sogin, il governo, è riuscito a rinviare il giudizio, tentando lo scippo: cercando di spostare il processo da Torino a Roma, Roma sede considerata più vicina alla loro sfera di influenza. Così ha presentato appello al Consiglio di Stato contro la sentenza di maggio del Tar Piemonte. Eccezioni procedurali, pretesti e cavilli giuridici: ma Tar e Consiglio di Stato gli hanno dato torto tre volte. Però, di rinvio in rinvio, stiamo arrivando all’udienza del 17 dicembre. Purtroppo la conseguenza più grave è che la loro tattica dello scippo e del rinvio ci ha messo in enormi difficoltà economiche. Le spese legali e giudiziarie, con tanto di trasferte a Roma e avvocati romani, si sono dilatate al punto che abbiamo consumato tutti i soldi raccolti con l’entusiasmante sottoscrizione popolare e il provvidenziale Beppe Grillo.
Non siamo più in grado di far fronte alle spese future, di proseguire il ricorso, di andare all’udienza del 17 dicembre che prevede anche la verificazione tecnica di ingegneri nucleari. Cioè ulteriori costi, migliaia di euro. Dobbiamo arrenderci? Visto che altresì l’esposto in Procura, che pur abbiamo presentato, per ora non ha prodotto effetti. La giustizia è solo per i potenti? Ritirare il ricorso? Dopo averli battuti in tre tappe, dobbiamo arrenderci in dirittura finale? Ritirare il ricorso? Oppure resistiamo?
Oppure resistiamo. Oppure tutti assieme facciamo una nuova grande sottoscrizione popolare, anche con i mezzi infornatici -blog, meetup- che Beppe Grillo ci mette a disposizione. Inventiamo altre forme di comunicazione. Facciamo sì che le centinaia di sottoscrittori diventino migliaia. Diventino il nocciolo duro di quei milioni di resistenti che saranno necessari per respingere il business nucleare. Resistere resistere resistere. Anche alle intimidazioni: Sogin ha già minacciato querela. Perché resistere al Tar? Perchè il ricorso è importante per il movimento antinuclearista nazionale. Infatti è firmato da comitati e associazioni locali, è riferito a Bosco Marengo (Alessandria) dove al posto di un ex impianto di combustibile nucleare Sogin (con l’autorizzazione del governo) vuole illegittimamente costruire un deposito di scorie radioattive, ma è un ricorso con valore per tutto il territorio italiano, è un obbiettivo nazionale per i movimenti di opposizione all’atomo in Italia. La pronuncia del Tar diventerà un precedente legale per tutto lo Stato. Se a noi favorevole, ad essa si potranno appellare tutte le popolazioni dei siti italiani che hanno ereditato i rifiuti nucleari delle centrali dismesse e che sono i primi candidati alle nuove centrali e ai nuovi depositi. Soprattutto la sentenza del Tar metterà in discussione l’intera strategia di rilancio nucleare del Governo, come affermato a gran voce dallo stesso.


Allora rilanciamo la lotta. Sottoscriviamo

Sottoscrizioni con causale: nucleare alessandria
tramite conto corrente bancario, intestato a Medicina Democratica Scrl
C/C 10039 ABI 05584 CAB 01708 CIN W Codice IBAN - IT50W0558401708000000010039
oppure tramite conto corrente postale n. 22362107 intestato a Pro Natura Torino
Via Pastrengo 13, 10128 Torino

mercoledì 11 novembre 2009

L'ARPA E LA SOLVAY SOLEXIS


A voi risulta che l'Arpa abbia dato notizia che sabato 7 novembre 2009 intorno alle ore 17 c'è stato un incidente all'impianto Algofrene della Solvay Solexis di Spinetta Marengo? A noi no. Eppure sembrerebbe che a seguito della foratura della colonna di testa del reattore R3 ci sia stata una considerevole fuoriuscita di gas. All'interno di tale apparecchiatura alla pressione di 11 bar si fa reagire il Cloroformio con Acido Fluoridrico ottenendo così Clorodifluorometano (CFC22) e Acido Cloridrico. Il reattore in pochi minuti si è depressurizzato all'aria senza che la Solvay dichiarasse alcuna emergenza. Non vogliamo dubitare che sia successo nulla di grave, ci chiediamo però se l'Arpa è stata informata, e se sì ,perchè non ha informato. Magari solo per tranquillizzare, considerando che il Cloroformio ha un effetto deprimente sul sistema nervoso centrale, può produrre danni al fegato dove viene metabolizzato in fosgene ed è cancerogeno (associato al carcinoma epatocellulare). A sua volta l'acido fluoridrico è estremamente tossico sia per inalazione che per contatto e danneggia il tessuto osseo e le vie nervose; l'ingestione è spesso mortale. Il Clorodifluorometano è una sostanza classificata come pericolosa ai sensi della Direttiva 67/548/CEE, persiste nell'aria e partecipa al processo di riduzione dello strato di ozono stratosferico.

In compenso l'Arpa ha convocato una conferenza stampa su cromo e PFOA per spiegare che oggi come ieri possiamo stare tranquilli: è tutto sotto controllo, come sempre.

Come il 19 marzo 2008, quando su un giornale locale viene intervistato il direttore dell'Arpa. A seguito di esposti in Procura, infatti, l’Arpa sta rispondendo al procuratore e al giornalista. Afferma Alberto Maffiotti: “L’intervento di bonifica dell’impianto Bicromati è regolare”. Tutto regolare, non c’è cromo a Spinetta Marengo, non esistono 500 milioni di metri cubi sotterrati, le falde non sono inquinate. Attenzione: le rassicurazioni ARPA sono rilasciate a marzo. A maggio, neanche due mesi dopo, la magistratura apre l’inchiesta sullo scandalo mentre il sindaco è costretto a chiudere tutti i pozzi!!!


Era tutto regolare per l’ARPA, facendo finta di non sapere che cinque mesi prima la Coopsette aveva trovato valori incredibili di cromo esavalente; o di non sapere delle decennali denunce della responsabile del laboratorio dello zuccherificio e di Medicina democratica. Anche volendo concedere la buona fede, come si può giustificare che l’Arpa dal 2002 al 2006 aveva rilevato “cromo totale” nei terreni della Fraschetta e non le è venuto in mente di accertare la logica presenza di “cromo esavalente”? Addirittura (sta scritto sui giornali) l’Arpa viene accusata di averlo sì rilevato tra il 2003 e il 2004: ma allora l’ha nascosto. Domande che abbiamo posto alla Procura. C’è di peggio nel rimpallo delle responsabilità: il Comune di Alessandria afferma che con ordinanza 2005 aveva impegnato sul “cromo esavalente” la Regione e l’Arpa, la quale Arpa nega di averla mai ricevuta. E’ tutta una matassa di rimpalli che dovrà essere districata dalla Magistratura.
Questi sono alcuni esempi di affidabilità dell’Arpa riferiti al cromo (comprereste voi una macchina usata da…?).

Facciamone altri sul PFOA.
Maffiotti afferma che “la pericolosità del PFOA è da provare” e al riguardo “non vi è letteratura scientifica”. Ignora o finge di ignorare (non so cosa sia più grave) che gli studi internazionali si occupano dei rischi Pfoa quanto meno dal 1972, come tossico e cancerogeno, e che l’EPA americana l’ha messo infine al bando la sostanza (chissà perché? si chiede Maffiotti), vietata con qualche ritardo si dirà, ma in netto anticipo rispetto all’Arpa che ancora oggi chiude gli occhi in attesa di una legge italiana che gli imponga di aprirli.
Bastava e basta fare un clic su internet (vedi es. allegato) per essere informati conoscendo un poco di inglese o con un traduttore.
Dov’era l’Arpa nel 2002 quando le emissioni di PFOA erano di quasi 100 volte superiori a quelle di oggi (dati Solvay)? Dov’era fino ad oggi?
Dov’era l’Arpa quando i valori di Pfoa nel sangue dei lavoratori erano 30 volte superiori a quelli odierni (che pur restano inammissibili: dovrebbero essere zero)?
Cosa ha fatto l’Arpa quando in Bormida e Tanaro il Pfoa è stato trovato (non per iniziativa Arpa) a livelli da 100 a 1.500 volte superiori a tutti i fiumi italiani ed europei?


TG3 Piemonte Solvay Solexis PFOA




Le Iene Solvay Solexis PFOA


CONFERENZA STAMPA



MEDICINA DEMOCRATICA E COMITATO SALUTE AMBIENTE TERRITORIO
CONFERENZA STAMPA GIOVEDI’ 12 NOVEMBRE ORE 18,30
CIRCOSCRIZIONE CENTRO VIA VENEZIA 7 ALESSANDRIA
NON MANCATE

Quale è stato il senso degli esposti di Medicina democratica alla Magistratura? Quale è il senso della partecipazione di Medicina democratica all’imminente processo per inquinamento da cromo esavalente & altri 20 veleni tossici e cancerogeni? Perché organizziamo a parti civili del processo i lavoratori e i cittadini ammalati e i famigliari dei deceduti?

Ce ne siamo sempre fatti carico: le preoccupazioni dei lavoratori e degli abitanti sono le nostre.
Le preoccupazioni dei lavoratori di perdere la salute.
Le preoccupazioni dei cittadini di perdere la salute.
Le preoccupazioni dei lavoratori di perdere il posto di lavoro.
Medicina democratica, infatti, è nata proprio dentro le fabbriche. Difende la salute per difendere l’occupazione. La fabbrica che inquina, inevitabilmente chiuderà.
Personalmente ho partecipato per 40 anni a denunce ambientali in tutta Italia, di cui moltissime alla Montedison di Spinetta Marengo, dove ho lavorato per 35 anni. Con queste denunce -prima come sindacalista e poi come ambientalista- ho costretto Montedison a spendere miliardi per il risanamento ambientale e ho salvato i posti di lavoro di tutti e il mio. Anche se quelle denunce (essendo incorruttibile e non terrorizzabile) mi sono costate note rappresaglie**.

Se il sindacato è partner invece di controparte del padrone, come oggi avviene, allora è succube e non cura gli interessi dei lavoratori. All’imprenditore interessa il profitto, talora ad ogni costo, spreme il limone (il lavoratore e gli impianti) fino in fondo e poi lo butta via. Il sindacato dovrebbe impedirglielo. Dunque dovrebbe (doveva) essere il sindacato per primo a chiedere la bonifica dello stabilimento, senza la quale la fabbrica chiuderà. Il sindacato dovrebbe sostenere la Procura e non criticare noi che siamo in perfetta consonanza con la Procura. Il sindacato deve chiedere, come noi, che la bonifica deve essere vera, togliendo i veleni sotterrati, e non finta come il progetto Amag di sciacquatura delle acque o il palliativo di un incontinente muro lungo e profondo chilometri. Deve chiedere, con noi e la Magistratura, che la bonifica la deve pagare la Solvay che i profitti se li è messi in tasca in Belgio.

Politici e amministratori pubblici sono abituati a far finta di fare, lasciando irrisolti i problemi a marcire.
Hanno fatto finta di fare l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, e non quello vero, quello democratico da noi rivendicato da venti anni, quello vero, finanziato da loro ma controllato da noi. Hanno fatto finta, con l’Arpa, di controllare l’inquinamento aria-acqua-suolo spendendo miliardi pubblici con il famigerato progetto Linfa.
Ora fanno finta di affrontare l’inquinamento cromo e altri venti veleni con il fasullo progetto Amag, e non potendolo chiamare “bonifica” lo battezzano “messa in sicurezza”. Quando l’unica sicurezza per l’ambiente e l’occupazione è la bonifica del sito, togliere i veleni sotterrati. Forse la Provincia ha scoperto il trucco e parla al plurale: “verificare i migliori progetti”.
Ora il sindaco annuncia una indagine epidemiologica, così fa l’Arpa su cui la nostra fiducia è pari a zero. Il rischio è che siamo di nuovo ad una finta. L’indagine epidemiologica, che rivendichiamo dai tempi della piattaforma Osservatorio, deve essere svolta da esperti al di sopra di ogni sospetto, sotto diretto controllo popolare, deve comprendere malati e morti in un arco di almeno 50 anni, deve riguardare tutte le persone che in quell’arco di tempo hanno lavorato nel polo chimico di Spinetta e/o abitato nella Fraschetta. Per essere scientifica e attendibile. Altrimenti sarà l’ennesima finta.

** Il “confronto” con Montedison si è svolto, fra l'altro, a colpi di querele, esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, titoli su titoli in giornali e TV; ventitré udienze in tribunale, sette cause in pretu
ra, quattro in appello, due in cassazione, tutte concluse felicemente ma piene di sofferenze: cassa integrazione, tre trasferimenti, mobbing, anni di dequalificazione professionale, di inattività assoluta, oltre ad uno stillicidio di tentati provvedimenti disciplinari e vertenze minori e, dulcis in fundo, tentato licenziamento.




VIVERE CON I VELENI

Luigi Pelazza con i proprietari del Ristorante di Alessandria "IL VICOLETTO"
Solvay Solexis - Cromo Esavalente e PFIB
Il servizio dell'inviato delle Iene Luigi Pelazza si è concentrato nella prima parte sul cromo esavalente, un minerale con caratteristiche tossiche e cancerogene, in grado di provocare sterilità e mutazioni genetiche. Il problema risale agli anni '60 quando a Spinetta c'era ancora la Montedison che produceva, tra le altre sostanze chimiche, anche il bicromato di potassio, contenente per l'appunto il cromo esavalente, che all'epoca poteva essere smaltito, senza alcun problema, semplicemente dissotterrandolo nel terreno della fabbrica. Lo scandalo risiede nel fatto che fino al maggio 2008, per un tacito accordo tra Montedison e abitanti di Spinetta, questi ultimi utilizzavano gratuitamente l'acqua accettando la presenza dello stabilimento inquinante a pochi passi dalle case. A partire dal 28 maggio 2008, il sindaco di Alessandria Fabbio vieta ai cittadini di Spinetta di utilizzare l'acqua proveniente dalla falda vicina per uso potabile e irriguo, data l'alta concentrazione di cromo VI riscontrata dalle rilevazione dell'ASL. Nel 2002 la Solvay acquista il polo chimico, nonostante sia a conoscenza della presenza di cromo VI, e si impegna a disporre un piano di bonifica con le istituzioni per evitare l'inquinamento delle falde acquifere. Ma il cromo finisce nelle falde e i danni inevitabilmente ci sono: per esempio, nell'inverno del 2005, in uno dei magazzini dello stabilimento, in seguito allo scioglimento della neve, comincia a trasudare dai muri e dal pavimento un liquido giallognolo riconosciuto come cromo esavalente. Quando uno dei lavoratori si rivolge al superiore, non ricevendo chiarimenti in merito, avverte il servizio Spresal dell'Arpa, che, dopo le analisi, vieta l'ingresso senza dispositivi di sicurezza (mascherine, occhiali). E immediatamente lo stesso lavoratore che aveva fatto la denuncia viene licenziato. Dopo la denuncia del lavoratore, anche sui giornali compaiono servizi al riguardo (si veda l'articolo della Stampa del 27 maggio 2008 a firma di Massimo Putzu). La magistratura di Alessandria inizia degli accertamenti e invia quattro avvisi di garanzia a quattro dirigenti della Solvay per inquinamento ambientale. Pelazza passa poi ad intervista tre dirigenti della Solvay: il direttore generale Bigini, il responsabile dell'ufficio stampa Novelli e il direttore del personale Bessone. Secondo il direttore generale, il fabbricato di cui si parlava poco sopra è ancor oggi inquinato, mentre secondo il direttore del personale in quelle stanze non è mai entrato alcun lavoratore, nonostante la foto di una scrivania con cartelle di lavoro e un telefono sembrano sconfessarlo. Pelazza chiede anche informazioni riguardo la lavorazione del PFIB o perfluoroisobutene, altra sostanza altamente tossica se inalata. Dinanzi al documento della dott.ssa Valeria Giunta, responsabile per l'igiene ambientale della Solvay, nel quale era scritto che "nel caso di presunta presenza di PFIB, sospendere l'analisi fino a conferma dell'assistente...", il direttore generale Bigini non sa letteralmente cosa dire. Gli stessi dirigenti sono così preoccupati che quando il giornalista si rivolge ad un ingegnere per avere chiarimenti in merito alle rilevazioni di fughe di PFIB, i dirigenti si mettono in mezzo alla discussione per evitare di far parlare serenamente l'ingegnere. L'inviato delle Iene si reca poi al laboratorio contaminato dal cromo VI; a rispondere alle domande è ora Novelli, responsabile dell'ufficio stampa. Afferma che il laboratorio è stato chiuso, ma solo nel momento in cui sono emerse anomalie: solo quando è stato ritrovato cromo esavalente ai lavoratori è stato impedito di operare al suo interno cosicché il direttore del personale è stato sbugiardato per la seconda volta. Infine Pelazza ci parla del cosiddetto "pozzo numero 8", situato all'interno della fabbrica, il quale ha rifornito di acqua non solo la fabbrica ma anche molte famiglie di Spinetta Marengo e la cui acqua, a detta di Novelli, era potabile. Tuttavia anche questo pozzo è stato chiuso dall'ordinanza del sindaco di Alessandria e la ditta è stata costretta all'allacciamento con l'acquedotto, sebbene, secondo i dirigenti, tale decisione sia stata presa solo a scopo precauzionale. Di tutt'altro avviso Fabbio: il pozzo "non aveva i valori corretti"; inoltre, "la pericolosità dell'azienda sta nell'aria, non nell'acqua", in quanto una perdita può portare "alla morte di tremila persone in mezz'ora". Sconcertanti sono le testimonianze degli abitanti di Spinetta: tutti hanno bevuto l'acqua contaminata, si fidavano della Solvay. E poi gente che racconta della polvere rossa sui marciapiedi o delle calze sintetiche letteralmente mangiate dall'aria. Ma c'è anche chi fa presente che ieri la Montedison e oggi la Solvay vogliono dire lavoro: senza di essa ci sarebbero molti disoccupati.
Ringraziamo Aldo Bonaventura per il dettagliato resoconto del servizio.
Le Iene - Vivere con i Veleni - 27 ottobre 2009